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Roller Coaster

Davide Durante by Davide Durante
6 Settembre, 2019
Reading Time: 6 mins read
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Da quando LeBron James è tornato in Ohio, Cleveland è diventata un polo attraverso cui la stagione nba deve necessariamente passare per definire il suo destino. Con il favore di una livellazione verso il basso della competitività della Eastern Conference, in questi tre anni l’approdo dei Cavs alle finali non solo è sempre stato raggiunto ma non è nemmeno mai stato messo in discussione. Questa egemonia è durata fino a al momento in cui Irving ha annunciato la sua volontà di essere scambiato, dando una scossa non indifferente all’equilibrio emotivo di tutta l’organizzazione della franchigia. Il primo mese di regular season sembra suggerirci che la trade che ha portato Cleveland e Boston a scambiarsi le loro point guard titolari abbia cambiato veramente (e finalmente, direbbe qualcuno) gli equilibri a Est: i Celtics hanno interrotto di recente una striscia consecutiva di 16 vittorie mentre i Cavs sono da poco usciti dal loro peggior periodo degli ultimi 4 anni. Dopo un avvio incoraggiante (3 vittorie nelle prime 4 partite) sono sprofondati in un abisso da cui sembravano non poter più risalire: dal 25 ottobre al 9 novembre hanno perso 6 delle 8 partite giocate, venendo sconfitti da squadre con (al tempo) il record perdente come New York, Brooklyn senza D’Angelo Russel e in casa contro Atlanta (!!). Nel corso di questa depressione Cleveland si è ritrovata faccia a faccia con le questioni che la trade che li ha privati di Irving ha sollevato ma che fino a quel momento avevano fatto finta di non vedere. Durante le prime settimane di regular season, tra un meme passivo-aggressivo di Lbj e i tentativi di Wade di distruggere dall’interno la squadra, siamo stati costretti a chiederci se Cleveland sia ancora l’avversario da battere ad Est e la pretendente numero ad insidiare il dominio di Golden State. Queste domande devono aver infestato anche la franchigia fino a quando non hanno trovato una risposta nelle striscia aperta di nove vittorie consecutive: cerchiamo di fare il punto su quanto successo finora, passando dalle difficoltà iniziali fino alla rinascita delle ultime settimane.

La crisi

In primis, gli innesti che avrebbero dovuto colmare il vuoto lasciato da Uncle Drew si sono rivelati da subito disfunzionali. L’inserimento in quintetto di Wade, con l’ovvia benedizione di LeBron, non ha dato i benefici sperati: nelle gare in cui è partito in quintetto ha segnato appena 5 punti a partita, tirando con il 28% dal campo e perdendo 2.7 palloni a partita. Queste prestazioni hanno indotto Tyron Lue a riservare a Wade un ruolo da sesto uomo di lusso, a favore di un ritorno di Jr Smith in quintetto, che assicura migliori spaziature e si era detto deluso dell’esclusione dal quintetto. Come se non bastasse, la coppia Wade-Rose, nei momenti in cui hanno giocato assieme, ha registrato un offensive rating di poco superiore a 98 punti su 100 possessi, concedendone più di 112.

Al di là delle cifre combinate, i due ormai rappresentano l’antitesi del modello di giocatore con cui LeBron vuole giocare: due non-tiratori che restringono le difese e congestionano le spaziature. Per ritrovare lo spacing ottimale si è optato per lo schieramento di Love da centro e l’inserimento in quintetto di Crowder al posto di Tristan Thompson, scelta che ha provocato un’indesiderata reazione a catena. Se gli ultimi anni ai vertici sono stati costruiti su un equilibrio dato da una difesa mediocre e un attacco dominante, l’esclusione dal quintetto del lungo canadese (insieme ad una fase offensiva depotenziata dalla partenza di Irving) hanno reso Cleveland, per un breve tratto di stagione, una delle peggiori squadre della lega. La duttilità di Thompson rendeva sostenibili le disattenzioni degli esterni: ruotando regolarmente sui loro uomini quando venivano battuti, assicurava una protezione del ferro e del perimetro quanto meno decente. La presenza di Love o Frye come unici rim protector ha portato Cleveland a concedere più del 64% al ferro nel corso delle 5 sconfitte consecutive subite ad inizio novembre (peggio soltanto di Dallas e Minnesota).

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I principali problemi della fase difensiva nascevano sulle situazioni di pick and roll. La strategia della difesa è quella di mettere pressione al palleggiatore con il difensor del bloccante, ma i tempi di uscita sulla palla di Love, uniti alla facilità con cui Rose e Jr Smith vengono battuti, rendono indifendibile il pick and roll avversario.

Durante le prime 10 partite della stagione non c’è una singola statistica difensiva che non li vedesse tra i tre peggiori, passando dalla percentuale da tre concessa agli avversari fino al più generale defensive rating. È difficile stabilirne le cause, è probabile che i cambiamenti apportati al roster abbiano scosso l’ambiente ancora più profondamente di quanto si potesse pensare; quel che è certo è che se Cleveland è andata vicino all’implosione dopo una manciata di partite le colpe non possono essere imputate ai singoli. Più in generale sembra aver influito un malessere diffuso, nato da problemi strutturali interni all’organizzazione, tra cui: la già citata partenza di Irving in un clima post sconfitta alle Finals; il mancato raggiungimento di quelli che sembravano essere i rinforzi chiesti da James, (su tutti Paul George e Carmelo Anthony); le voci che volevano essere LeBron a informare i compagni delle scelte tecniche; le critiche tra titolari e panchinari e soprattutto l’ombra della scadenza del contratto di LeBron al termine di questa stagione.

Risalita

In questo clima di autodistruzione imminente, con ormai 16 stagioni sulle gambe, non sarebbe stato così sconcertante vedere il declino fisico di LeBron colpire proprio nel momento peggiore dal suo ritorno a Cleveland. Invece, remando contro la corrente negativa fino ad invertirne il corso, James ha dato prova di non aver ancora imboccato il viale del tramonto. Il primo lampo sono stati i 57 punti contro Washington segnati il 3 novembre, seguiti però da altre due sconfitte contro Atlanta e Houston. Da lì in poi Cleveland ha iniziato una risalita guidata dalle prestazioni del suo leader, al momento il terzo attaccante più prolifico della lega ma di fatto il più efficiente.

Anche se parliamo di un campione di partite ridotto, le percentuali con cui sta tirando– 58% dal campo e 42% da tre- al momento sono il massimo mai raggiunto in carriera. Per preservare la sua integrità fisica sembra che stia cercando di attaccare il ferro con meno frequenza rispetto alle scorse stagione, anche se, a voler ben vedere, non è il numero di conclusioni nella restricted area ad essere cambiato, ma il modo in cui queste arrivano: pur essendo ancora in grado di battere chiunque dal palleggio, sembra che LeBron stia finalmente cominciando a punire con frequenza i cambi, portando sotto il canestro giocatori che gli rendono centimetri e chili in abbondanza. Non è un caso che nei finali di partita il pick and roll con lui da palleggiatore e una guardia a portare il blocco, per generare un accoppiamento con i piccoli avversari, sia una delle opzioni più utilizzate. Viste le irripetibili qualità fisiche (tra cui l’essere ambidestro), il gioco in post è un fondamentale di cui avrebbe potuto abusare nel corso della sua carriera ma che per attitudine non ha mai sviluppato a pieno. Pur non essendo mai stato più di un tiratore rispettabile, una grandissima percentuale del suo gioco ha sempre avuto origine a partire dal perimetro; avendo abbondantemente superato la soglia dei trent’anni una progressiva trasformazione da ‘’post scorer’’ potrebbe regalargli un paio di anni in più ad alto livello. In questo momento LeBron sta svolgendo il ruolo di facilitatore e di scorer primario, ovvero la parte che solitamente recitava Irving, ma nella risalita dal baratro i segnali importanti sono arrivati da tutti gli elementi del roster.

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In questo sprazzo di stagione LeBron si sta fidando del suo Jumper come non ha mai fatto fin’ora. Dei 16 punti segnati nel primo quarto con cui ha chiuso la pratica Detroit Pistons, solo 2 sono arrivati attaccando il ferro.

Kevin Love sta venendo coinvolto in modo diverso rispetto alla scorsa stagione: tira con meno frequenza da dietro l’arco (due volte in meno rispetto la scorsa stagione) ma viene servito più spesso in isolamento, dove è ancora uno dei giocatori più efficiente della lega. Lo stesso Wade sembra essersi adattato bene al ruolo di sesto uomo. In particolare nei momenti in cui è chiamato a guidare la second unit ha dimostrato di poter reggere ancora il peso di un attacco da solo per qualche minuto.

Nonostante la mancanza di attitudine della gran parte dei componenti del roster, sembra che la nuova freschezza offensiva stia concorrendo per creare anche una buona difesa di squadra. Se vogliono potersi sedere nuovamente al tavolo delle contender i Cavs devono cambiare pelle: pur essendo la squadra con l’età media più alta di tutta lega, dispongono di un collettivo capace di poter far male alle difese avversarie in transizione; per poter sfruttare le qualità atletiche dei singoli è necessario lavorare in modo che la fase difensiva generi recuperi.

Le circostanze sembrano aver costretto LeBron ad inserire le marce alte per evitare l’irreparabile e questo, per ora, sembra aver risvegliato anche l’effort dei compagni ma alla lunga potrebbe avere delle ripercussioni in termini di usura fisica. Ora che nella Eastern Conference sembra essere nata una nuova pretendente al trono, sarà determinante che tutta la squadra, non solo James, arrivi ai playoff nelle migliori condizioni fisiche. In quest’ottica,  gli infortuni di Thompson, Shumpert, Rose (che secondo Woj sta pensando al ritiro) e del lungo degente Isaiah Thomas non vengono incontro alle esigenze di Cleveland. Proprio le condizioni fisiche in cui ritornerà l’ex Boston Celtics determineranno le ambizioni definitive di questa squadra: se al suo rientro in campo sarà ancora il giocatore pre infortunio e troverà un contesto in cui tutti gli elementi avranno trovato la giusta alchimia, il suo contributo potrebbe essere decisivo per raggiungere nuovamente le Finals.

Cleveland ha già attraversato e superato una crisi che sembrava poterli spazzare via dalla lista delle contender ma che invece, ad oggi, pare averli rinforzati. Per adesso non è facile fare pronostici: saranno i prossimi mesi a dirci se il ritrovato entusiamo non è altro che uno slancio d’orgoglio oppure un reale inizio di un percorso di crescita.

 

 

 

Tags: Cleveland CavaliersKevin LoveLeBron James
Davide Durante

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