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Kyrie Irving- Dove andare?

Davide Durante by Davide Durante
6 Settembre, 2019
Reading Time: 7 mins read
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La notizia che ha rivelato la volontà di Irving di lasciare Cleveland ha dato il twist definitivo ad una off-season che promette di ridisegnare la geografia della lega. L’annuncio dato da Brian Windhorst di ESPN segna l’ennesima tappa del disastroso viaggio che è stata l’estate dei Cavs. La franchigia è stata investita da qualsiasi tipo di tragedia sportiva durante gli scorsi mesi, dovendo affrontare il licenziamento di David Griffin, l’ormai ex-general manager che ha riportato Lebron in Ohio; le voci di uno spogliatoio dominato dal caos, tanto che Jimmy Butler ha ricevuto il consiglio di stare alla larga da Cleveland, e ora la volontà di Irving di essere ceduto. Tutto questo in un clima da post sconfitta in finale, con la necessità di colmare il gap con Golden State e la minaccia dell’addio di Lebron James al termine della prossima stagione.

Il progetto dei Cleveland Cavaliers potrebbe crollare sotto il peso dell’ego dei due giocatori più importanti della squadra. Persino il commissioner Adam Silver, solitamente restio a commenti di questo tipo, si è dichiarato dispiaciuto per quanto sta succedendo. Se, come sembra, le motivazioni alla base della volontà di Kyrie di lasciar l’Ohio sono la voglia di essere il giocatore Alpha di una franchigia è lecito pensare che il rapporto tra i due non sia mai stato disteso come poteva apparire. Non si può dire che non siano mai andati d’accordo o che tra i due abbia sempre regnato l’astio; si rispettano, non sono mancate le dimostrazioni di amicizia ma di base il loro è un rapporto simile a quello tra Jessie e Walt di Breaking Bad: uno pensa, a torto o ragione, di dover fare da mentore all’altro, si sopportano, possono volersi bene ed essere amici ma inevitabilmente il loro ego li porta a scontrarsi. Da una parte la volontà di allontanarsi dal miglior giocatore della sua generazione −che è anche una delle superstar meno egoiste in campo− lascia interdetti, ma considerata la personalità di Irving era inevitabile che prima o poi il suo ego lo avrebbe portato a soffrire la figura ingombrante di James.

La solo presenza di LeBron migliora il rendimento dei compagni ma riduce chiunque ad un pianeta costretto ad allinearsi attorno al (Re) sole. Questo processo è ideale per uno specialista, per un role player conscio del fatto che vicino a James le sue capacità verranno esaltate e i suoi difetti mascherati, ma difficilmente viene accettato con serenità dalle superstar. Giocare con LeBron non comporta soltanto un adattamento delle proprie caratteriste (e del proprio ego) in funzione dei vantaggi che si possono ricevere dalla sua presenza in campo, giocare con LeBron significa venire inseriti a forza in una nuova cultura cestistica. Tale è il suo impatto che spesso le personalità come quelle di Kyrie alla lunga finiscono per soffrire la sua presenza.

A 25 anni Irving ha vinto un titolo nba, un titolo di mvp dell’all star game, un mondiale (da MVP della competizione), ha giocato tre finali NBA consecutive e ha più volte dimostrato la capacità di elevare il livello delle prestazioni quando il momento lo richiedeva. Tuttavia, avere un grande impatto su singole partite –anche se le partite in questione sono gare di finali– non garantisce il biglietto d’entrata nella ristretta cerchia di giocatori capaci di essere il tassello attorno a cui ruota una contender. La volontà di andarsene rispecchia la voglia del giocatore di dimostrare di poter essere qualcosa di più di quanto mostrato finora: Irving vuole la sua squadra e non vuole essere più sotto l’ombra –o l’ala protettrice– di nessuno.

Proviamo a valutare alcune ipotetiche trade, partendo dalle meno probabili in termini di fattibilità, passando per quelle che potrebbe avvenire ma non sarebbero un fit positivo né per Irving né per Cleveland, fino a quelle più congeniali sia per la franchigia che per il giocatore.

 

San Antonio Spurs

San Antonio, come scritto da Shea Serano su The Ringer, sarebbe la scelta più controversa e allo stesso tempo più affascinante. Se volesse lasciare il contesto attuale per uno in cui il suo ego possa essere pienamente appagato la Spurs Culture –che ha fatto del basso profilo le fondamenta su cui ha costruito i successi degli ultimi quindici anni– è una scelta antitetica. Inoltre è ragionevole credere che, in termini tecnici, anche a San Antonio sarebbe il numero due nella gerarchia di squadra dietro Leonard. Tuttavia, avere la possibilità di essere allenato da Popovich a 25 anni, con il bagaglio di esperienza accumulato finora, potrebbe rappresentare un upgrade sia per lui che per San Antonio.

Nel migliore dei casi Irving e gli Spurs potrebbero creare una simbiosi che gioverebbe a entrambi: il sistema di Popovich costringerebbe Irving a migliorare i suoi punti deboli –tra tutti la difesa– ; la sua capacità unica di fare canestro e elevare le sue prestazioni nei playoff potrebbero essere i tasselli mancanti per colmare il gap che separa la franchigia del Texas dai Golden State Warriors.

Purtroppo l’unica pedina di scambio a disposizione dei Texani è LaMarcus Aldrige, la cui convivenza con Kevin Love ai Cavs sarebbe impossibile.

 

Minnesota Timberwolves

Con l’ingenuità che solo un uomo convinto che la terra sia piatta può avere, Irving ha fatto sapere alla dirigenza dei Cavs le sue destinazioni favorite, dimenticandosi che il suo contratto non prevede alcuna clausola che gli permette di opporsi ad una trade che prevede una destinazione a lui non gradita. Fra le squadre da lui menzionate compare anche Minnesota, in cui troverebbe l’amico Jimmy Butler. Per quanto improbabile, fra tutti gli scenari ipotetici questo è sicuramente il più elettrizzante; Irving andrebbe a costituire il perfetto ponte fra Karl Anthony Towns e l’ormai veterano Butler. Inoltre anche qui troverebbe in Tom Thibodeau un allenatore che lo costringerebbe a migliorare le sue mancanze in fase difensiva. Una franchigia in crescita, il perfetto mix tra gli elementi talento-giovani-veterani e un coach che potenzialmente potrebbe colmare le lacune di Kyrie. Lo scenario ideale, se non fosse che Minnesota al di fuori di Wiggins – e dando per scontato che Towns e Butler siano off limits– non ha nient’altro da mettere sul piatto.

 

Boston Celtics

Cleveland: Jae Crowder, Isaiah Thomas, Jaylen Brown

Boston: Kyrie Irving

Spoiler: piuttosto che vedere Irving unirsi alla diretta concorrente nella Eastern Conference, i Cleveland Cavaliers potrebbero pensare di venderlo ai pirati somali.

Tuttavia, l’ironia vuole che i Celtics abbiano la possibilità di offrire gli assets migliori per convincere la franchigia dell’Ohio a lasciarlo andare. Anche se Cleveland potrebbe preferire una delle prime scelte a disposizione di Boston, Isaiah Thomas ha appena concluso la miglior stagione della carriera, l’approdo a Cleveland non gli eviterebbe di essere dannoso nella metà campo difensiva ma la sue capacità di scorer potrebbero rendere meno amara la partenza di Irving e darebbero a LeBron un altro all star con cui compensare la sua assenza. Crowder è un 3&D in grado di giocare entrambe le metà campo, garantire spaziature ottimali, affidabilità difensiva e minuti di riposo per James, e infine Jaylen Brown –un ragazzo del 1996– avrebbe la possibilità di crescere sotto l’ala di LeBron, per poi magari raccoglierne il testimone tra qualche anno – sperando che quel momento non arrivi nell’estate del 2018.

Irving a Boston si inserirebbe in un sistema collaudato che aspetta solo l’arrivo di un talento come il suo per effettuare il saltò di qualità necessario a diventare una vera contender, sarebbe l’uomo simbolo di una franchigia storica, con un passato vincente ed un glorioso futuro. Tuttavia, come detto, Cleveland difficilmente accetterebbe una trade che rinforzerebbe una concorrente così vicina.

 

New York Knicks

Cleveland: Carmelo Anthony

New York: Kyrie Irving, Channing Frye

Se desidera essere il leader tecnico ed emotivo di una squadra, New York rappresenta la destinazione migliore. Troverebbe una franchigia che ha bisogno di ridare vita ad un ambiente che negli ultimi mesi ha vissuto più momenti tragicomici di quanto le franchigie normali ne attraversino in un intera vita sportiva; insieme a Kristaps Porzingis andrebbe a formare un core giovane e futuribile, in grado di poter attirare altri giocatori e, finalmente, dare l’input definitivo per la ricostruzione della squadra della città più famosa del mondo. I Knicks avrebbero a disposizione un giocatore che ha già vinto, che sa come farlo e che porterebbe un po’ di Mamba Mentality in un contesto che non contempla più la vittoria da troppi anni ormai. Tuttavia le belle notizie terminano qui, perché se è vero che ”se ce la fai a New York puoi farcela ovunque” è altrettanto vero che La Grande Mela, come Los Angeles, è il miglior posto per vincere ma sopratutto il peggiore per perdere. Irving lascerebbe una franchigia sull’orlo dello psicodramma per approdare in una che al drama è ormai assuefatta da anni. La stampa newyorkese è la più feroce del panorama americano, il passaggio da salvatore della patria a overated è dietro l’angolo. Dal punto di vista dei Cavs la trade non configura come il peggior scenario –Carmelo Anthony rimane uno dei migliori attaccanti della lega– ma l’impressione è che il gioco non valga la candela. Nell’ipotesi di perdere Irving, vista l’impossibilità di trovare un giocatore con la stessa capacità offensiva, Cleveland da questa trade dovrebbe provare a ricavare pedine in grado di rendere il roster più equilibrato sui due lati del campo e chiaramente Melo non sarebbe quel tipo di innesto.

N.B.: al di là dei risvolti che potrebbe avere sul campo, lo scambio in questione è subordinato alla volontà di Anthony, che in caso decidesse di non gradire Cleveland come destinazione potrebbe annullarlo grazie alla no-trade clause presente nel suo contratto.

 

Phoenix Suns

Cleveland: Eric Bledsoe, Tj Warren (Josh Jackson ???)

Phoenix: Kyrie Irving

Nonostante non figuri tra le destinazioni favorite da Irving, Phoenix (escludendo Boston per quanto detto prima) è la squadra che potrebbe garantire ai Cavs le contropartite più funzionali.

Bledsoe coprirebbe lo spot di point guard lasciato vacante da Irving, porterebbe un contributo offensivo modesto se paragonato a quello del suo predecessore, compensato da un effort difensivo di qualità; Tj Warren, nonostante il tiro perimetrale inconsistente, è un buon attaccante che potrebbe dimostrarsi un valido back up di LeBron. È evidente che l’inserimento di Josh Jackson nella trade rappresenterebbe una contro partita migliore per i Cavs, che avrebbero la possibilità di far maturare il suo talento per un anno con James da chioccia, ma la dirigenza dell’Arizona ha dichiarato di non volerlo inserire in nessuna trade.

A Phoenix Irving troverebbe una squadra che vanta praticamente un giovane prospetto per ogni posizione e avrebbe la possibilità di dimostrare di essere un giocatore in grado di elevare esponenzialmente il livello di una franchigia.

 

Nonostante le opzioni non manchino, è difficile immaginare uno scambio che possa rendere i Cavaliers meglio di quanto siano ora senza Irving, e anche se qualcosa lo convincesse a rimanere, la frattura creata dalla sua dichiarazione sembra troppo profonda per essere ricolmata. La tempistica della sua decisione ha fatto si che Jimmy Butler e Paul George venissero coinvolti in altri scambi prima che Cleveland potesse offrirlo come contropartita, motivo per cui la dirigenza ora è costretta a limitare i danni più che a imbastire una trade capace di portare a Cleveland i rinforzi necessari per colmare il divario con i rivali della Baia.

Tags: CavaliersIrvingJamesLebron
Davide Durante

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