Nel giro di pochi secondi -quelli necessari per ricevere e leggere la notifica dell’ennesima WojBomb di seconda mano– Kyrie Irving è diventato l’argomento estivo della NBA.
La sua richiesta di trade è apparsa da subito capace di rivoluzionare gli equilibri all’interno della lega e per quanto impronosticabile non può essere considerata un evento maturato dall’oggi al domani se si prende atto della complessa personalità di Irving, il ruolo assunto da LeBron James dal suo ritorno a Cleveland e il rapporto mai idilliaco fra le due superstar.
Kyrie è un personaggio unico all’interno del mondo professionistico (e non solo): ha messo seriamente in discussione la sfericità della terra, afferma di poter controllare i suoi sogni ed ha raccontato durante una trasmissione del podcast condotto da Richard Jefferson e Channing Frye di essere stato visitato in camera d’albergo dallo spirito di un ex-giocatore dei Cavs.
Elementi secondari nel giudizio tecnico del numero “2” di Cleveland ma che non possono essere censurati nel tentativo di comprendere come Irving sia arrivato a richiedere lo scambio ad una squadra che negli ultimi tre anni ha raggiunto per tre volte le Finals e conta fra le proprie fila uno dei giocatori più dominanti di sempre.
Proprio la presenza di LeBron sembra essere una delle motivazioni della scelta di Kyrie il cui ego è riuscito a sopravvivere a James per tre anni ma mai con una vera e propria accettazione dell’altro.
Dalle prime richieste di 1vs1 contro Bryant alla leadership dimostrata nella stagione da rookie è evidente come Irving abbia sempre creduto -a torto o a ragione- di essere uno dei “primi della classe” e dopo tre stagioni di apprendistato forzato voglia tornare ad assumere il ruolo di giocatore Alpha all’interno di una squadra.
Per rafforzare l’idea delle dimensioni dell’ego di Irving è sufficiente considerare la sua lista di squadre in cui vorrebbe essere scambiato e notare come fra esse compaiano gli Spurs di Leonard, un giocatore universalmente riconosciuto come superiore allo stesso Irving ma che probabilmente non soddisfa a pieno i requisiti di starpower nel “magico mondo di Kyrie”.
La concezione del gioco di Irving è la più barbara e primordiale che esista: l’obiettivo è «mettere il pallone in quel canestro» e nessuno riesce a farlo come lui, ciò non può che riflettersi in un desiderio di essere nuovamente “l’uomo” di una franchigia e nella conseguente richiesta di scambio.
Tralasciando il comportamento da seguace della Mamba Mentality di Irving e prima di cercare di definire il suo valore di scambio è utile tentare di definire chi è “il Kyrie Irving” giocatore sottolineando pregi ma anche i difetti che spesso vengono nascosti sotto una patina di clutchness e capacità di essere una macchina da highlights.
La parola chiave per descrivere il gioco di Irving è scoring; tutto ciò che fa in maniera eccellente -concludere al ferro, ISOball- si riduce al saper segnare in qualsiasi situazione di gioco, una capacità rara anche all’interno della NBA ma che non deve essere sopravvalutata in un contesto esterno a quello dei Cavaliers: ciò che rende Kyrie un giocatore unico è il saper segnare a comando quando privo di vantaggio iniziale, una capacità kobesque che lo differenzia da altre star quali Curry, Wall e lo stesso LeBron James, maestri nel creare vantaggi per se stessi e per la squadra tramite utilizzo di blocchi e drive&kick.
Si tratta di una skill essenziale per una squadra come Cleveland, costretta a giocarsi la stagione contro una difesa di efficienza storica come quella degli Warriors ma che perde di valore in un contesto che necessità di un’identità di squadra e che non può vantare in ala piccola uno dei più grandi playmaker di sempre.

Per tutto ciò che concerne difesa, gestione di ritmi e di un attacco, Irving è ancora lontano dallo stardom NBA. Negli ultimi tre anni Kyrie ha giocato 2232 minuti senza LeBron, parziale che Cleveland ha perso per 92 punti. Un dato sicuramente non assoluto ma che accompagnato dal record di 3-13 dei Cavs senza James a fronte di tre stagione vincenti di Cleveland fa pensare sul reale valore di Kyrie come giocatore copertina di una squadra priva di altre grandi individualità. La separazione da LeBron rischia di avere un impatto più negativo sul futuro a breve termine di Irving -che non ha mai concluso una stagione vincente prima del coming home- che non su quello dello stesso James.
Escludere un suo miglioramento lontano da Cleveland, con diversi compiti e compagni, sarebbe scorretto, Kyrie ha solamente 25 anni, ha dimostrato di poter essere competitivo anche in contesti differenti (Mondiali 2014) ed è sicuramente dotato di talento ed un contesto con lui e quattro role player rischia di poter competitivo in poco tempo, una soluzione che potrebbe soddisfare le richieste del giocatore. Costruire una squadra da titolo intorno ad Irving appare complesso ma è altresì vero che le possibilità di vittoria finale non sembrano trovare spazio nelle priorità di Kyrie cui potrebbe bastare una costante sicurezza di post-season con ruolo da protagonista.
Voltando la medaglia è chiaro come all’interno dell’universo Cavaliers la gestione della situazione rischi di cambiare il futuro economico e sportivo della franchigia in maniera irreversibile.
Dan Gilbert -che in 12 anni non ha MAI rinnovato il proprio GM- ha da poco promosso Koby Altman al ruolo di General Manager ed il suo agire nel “caso Irving” avrà certamente ripercussioni sull’imminente free-agency di James nell’estate 2018, vera data di spannung nella storia a breve termine dei Cavs.
Al momento il manico del coltello è saldo nelle mani della dirigenza con il contratto di Kyrie che sarà in essere fino al 2019 e non prevede nessuna clausola legata alla preferenza di destinazioni. È altrettanto vero che sono rari i casi di giocatori i cui malumori abbiano sfondato le mura dello spogliatoio senza ripercussioni legate a scambi e forzare la permanenza di Irving in Ohio potrebbe creare più problemi rispetto ad una trade leggermente svantaggiosa dal punto di vista di puri asset.
Nell’eventuale scambio sarà impossibile per Cleveland ricevere uno scorer paragonabile a Kyrie ma acquisire difesa nello spot di PG ed un giocatore competente capace di difendere sulle ali avversarie potrebbe bastare per rendere i Cavaliers leggermente più competitivi nel matchup contro Golden State, unico vero desiderio in una Eastern Conference che, nonostante l’arrivo di Gordon Hayward, sembra poter creare pochi problemi alla squadra che ha dominato l’ultimo triennio dell’Est.