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Valuable

Davide Durante by Davide Durante
6 Settembre, 2019
Reading Time: 9 mins read
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Se c’è una cosa che merita ammirazione e rispetto è la capacità di confermare o superare le aspettative che l’ambiente esterno, con annesse pressioni, ripone in noi. Nel momento in cui Durant ha lasciato OKC, l’immaginazione collettiva si è scatenata ipotizzando quali imprese statistiche Westbrook avrebbe potuto compiere dal momento che non sarebbe stato più costretto a dividere la leadership della squadra. Lui, in un mare di aspettative e curiosità, ha portato la realtà oltre l’immaginazione.

Per mesi ha tenuto in ostaggio l’intera lega, costringendo tutti ad osservarlo mentre piegava la realtà al suo volere, demolendo record considerati inossidabili.

Ma ciò che in campo gli è valso il conferimento del titolo di mvp non lo rende un personaggio rassicurante. Nonostante sia stato protagonista di una delle singole stagioni individuali più incredibili di sempre le dichiarazioni abrasive, lo stile di gioco live-fast-die-young e il modo conflittuale di porsi verso l’ambiente esterno restituiscono di lui un’immagine destinata a dividere: RW0 non sarà mai la figura in grado di unificare tutti gli appassionati sotto un tetto comune ma l’impressione è che a lui questo non importi.

Se pensate che rubare dalle mani dei compagni i rimbalzi necessari al fine di raggiungere l’agognata tripla doppia – come loro stessi hanno ammesso– o smettere di passare il pallone una volta raggiunta la doppia cifra di assist non sia un atteggiamento che si sposi bene con quello che un leader dovrebbe rappresentare sappiate che a lui non interessa.Vi basti pensare agli orrendi balletti che mette in scena all’inizio di ogni partita. Credete che a qualcuno in grado di dare vita ad uno show simile in diretta televisiva possa interessare la nostra opinione?

Russel ignora apertamente il mondo circostante e l’impressione è che le sue manifestazioni di disinteresse vadano al di là del mantra ‘’il vostro odio mi rende più forte’’, probabilmente a lui veramente non importa.

Come era prevedibile, l’assegnazione del premio di mvp ha creato una scissione tra la giuria degli spettatori, divisi tra chi sostiene che abbia-fatto-la-storia e chi invece ritiene che non sia altro che un Nate Robinson supercharged che gioca solo per accumulare statistiche. Se ci soffermiamo su questi aspetti e lasciamo che la voglia di schierarsi sia il leitmotiv che guida la conversazione facciamo solo un torto a noi stessi: la stagione 2016/2017 di Wesbtrook è un instant cult e in casi come questi vale la pena accantonare preferenze e antipatie per poterne godere lucidamente.

Fuori controllo

La stagione di Westbrook si è abbattuta sulla lega con l’impatto di un’eruzione vulcanica e le prime avvisaglie del cataclisma che di li a poco avrebbe travolto l’nba si erano presentate già nella seconda gara dell’anno.

Nella prima partita tra le mura della Chesapeake Energy Arena, gli Oklahoma City Thunder ospitano i Suns. Westbrook è reduce da una partita ‘’normale’’ contro Philadelphia: 32 punti, 11 rimbalzi, 9 assist, 1 su 2 da 3 e 50% abbondante dal campo. Il vostro playmaker di fiducia.

Potrebbe essere diventato finalmente un giocatore sotto controllo? No, e lo dimostra subito. Abbiamo già detto che Russ è imprevedibile e travolgente come una calamità naturale e cosa può concretizzare meglio questo concetto se non le cifre messe a referto in quest’occasione contro Phoenix? 51 punti, 13 rimbalzi, 10 assist, 38% dal campo, 20 % dal arco e questa giocata per vincere la partita al termine di una gara in cui era rimasto in campo 44 minuti.

http://www.theshotmag.it/wp-content/uploads/2017/06/i958m_2.mp4

‘’Essere stanchi è solo una questione mentale’’ dirà a fine partita. Ti crediamo Russ.

Nota a margine: l’ultima tripla doppia con più di 50 punti l’aveva messa a referto Kareem Abdul-Jabbar nel 1975.

 

Hurt

Fin ad ora abbiamo reiterato la solidità dell’animo del numero zero dei Thunder, senza però citare l’unico episodio che potrebbe averlo veramente ferito, a livello professionale e umano: l’abbandono della squadra da parte dell’amico e compagno KD.

Il feud con l’ex compagno di squadra è stato uno dei tanti topic narrativi che ha accompagnato la stagione del neo eletto mvp. In occasione del loro primo incontro da avversari Russel si presenta alla Oracle Arena vestito da fotografo. Il riferimento è evidente: Durant è un appassionato di fotografia e nel 2016, tramite The Player’s Tribune, ha avuto la possibilità di assistere al Super Bowl in veste di fotografo ufficiale. In un tentativo di provocazione quasi no-sense emerge il lato più awkward del nostro. È evidente che voleva lanciare un messaggio ma quello che sfugge a tutti –tranne che a Westbrook − è la ragione per cui KD avrebbe dovuto indispettirsi vedendolo indossare una pettorina con su scritto ‘’Official Photographer’’.

Nella sfida che poteva rappresentare una rivalsa per sé stesso e tutta la franchigia, Russ gioca male, segna 20 punti ma tira con il 20% dal campo. OKC perde la partita (-26 di scarto), come tutte quelle che giocherà in stagione contro Golden State.

Bonus Track:

un video dedicato al bromance tra KD e Russ. Con tanto di colonna sonora alla High School Musical.

Valuable

Come detto prima, la vittoria del premio di mvp ha sollevato polemiche, quasi tutte ruotanti attorno l’aggettivo che si attribuisce al vincitore, sottintendendo che lo stile di gioco del playmaker di Okc non sia conciliabile con il concetto di valuable. Lasciando da parte l’hateraggio seriale, le critiche non sono del tutto infondate e il fatto che i suoi compagni di squadra non abbiano la qualità per supportarlo nella fase offensiva non lo sottrae a delle considerazioni negative riguardo il suo gioco: Westbrook è un accentratore con pochi eguali nella storia del gioco, tende a forzare in qualsiasi tipo di situazione e spesso si rivela incapace di attaccare in modo lucido−  ha chiuso la stagione con l’enormità di 438 palle perse, seconda peggior prestazione di sempre.

Spostando l’attenzione sulla fase difensiva lo scenario diventa più controverso: le statistiche raccontano un giocatore abbondantemente sopra la media per rendimento nella propria metà campo, potendo vantare un defensive raiting di 103.8 –tredicesimo in tutta l’nba− e addirittura il secondo defensive box plus minus di tutta la lega, dietro solo al neo eletto DPOY Draymond Green; uscendo dal piano statistico invece si ha la sensazione che palesemente risparmi l’energia nella sua metà campo, venendo battuto il più delle volte in modo inspiegabile viste le capacità fisiche in termini di reattività che possiede.

Ma allora, al netto di queste considerazioni, cosa legittima la sua vittoria del titolo di miglior giocatore della stagione? Al di là delle statistiche, la risposta si trova nella qualità che più di tutte rende valuable un giocatore: la capacità di determinare le partite nei momenti decisivi.

Per avere un’idea precisa di quanto l’ex UCLA abbia inciso sulle sorte della stagione dei Thunder è necessario prendere in considerazione alcuni dei principali clutch moments della sua stagione:

  • Nel quarto quarto della prima partita di regular season contro Phila, segna 9 punti negli ultimi 4 minuti, portando in vantaggio Okc e guidando il contropiede decisivo per la vittoria (finalizzato poi da Kanter);
  • Il 2 novembre contro i Clippers, negli ultimi 40 secondi della partita, chiude la gara segnando il canestro che assicura due possessi di vantaggio ai suoi
  • Il 16 novembre, contro Houston, in una situazione simile a quella sopra descritta, chiude la partita portando i Thunder avanti di due possessi con questa schiacciata
  • Contro Utah, il 28 febbraio, nel quarto quarto guida la rimonta partendo da -13, segnando 12 punti negli ultimi 3 minuti, chiudendo la partita con 43 punti, 11 rimbalzi e 10 assist
  • Il 3 febbraio contro i Grizzlies segna tutti i  15 punti finali dei Thunder, portando il risultato da 99-102 per Memphis a 114-102 per Okc
  • 27 marzo; contro Dallas, con la squadra sotto di 13 punti, ne segna 16 nei 6 minuti di gioco finali, mettendo a segno il canestro valido la vittoria a 7 secondi dal termine della gara.
  • Il 29 marzo, contro Orlando, per l’ennesima volta porta i suoi a compiere una rimonta che partiva da -14, segnando la tripla della vittoria a 7 secondi dal termine e mettendo a referto la tripla doppia con più punti all-time (57-13-11).
  • Il 9 aprile, mette a segno ancora una volta gli ultimi 15 punti della squadra, nella partita in cui farà registrare la 42esima tripla doppia di stagione.

 Se consideriamo anche il canestro per vincere segnato contro Phoenix (descritto nella parte iniziale di questo articolo), abbiamo almeno sette situazioni in cui è innegabile che la sua prestazione abbia orientato l’esito della gara–ovviamente non abbiamo la controprova ma è lecito pensare che se i Thunder non avessero vinto queste sette gare probabilmente non avrebbero nemmeno avuto accesso ai Playoffs.

Per avere un’idea ancora più precisa possiamo confrontare i suoi dati relativi agli ultimi 5 minuti di gara con la squadra sotto di almeno 5 punti con quelli degli altri due candidati alla vittoria del titolo di mvp, Kawhi Leonard e James Harden. Nel segmento di gara preso in considerazione, essi hanno rispettivamente una percentuale effettiva dal campo del 41,9% e 22,4%, contro il 44,4% del giocatore dei Thunder e, se le statistiche del numero 2 degli Spurs a prima vista possono sembrare comparabili a quelle di RW0, è bene tenere a mente che – sempre nella frazione di partita presa in considerazione – Westbrook ha una percentuale di usage del 63,9% contro il 42% di Leonard.

È difficile stabilire se realmente migliori i compagni ma se valuable può essere tradotto con ‘’il  singolo che più ha inciso nelle vittorie di squadra’’ Russel, almeno per la stagione appena conclusa, non ha avuto rivali.

Cosa significa una tripla doppia

La ”questione tripla doppia” ha sollevato dei dubbi legittimi sulla sua reale utilità nell’economia dell’attacco. Non è semplice stabilire se la morbosa ricerca della triplice statistica abbia danneggiato o migliorato l’attacco dei Thunder, quel che è evidente è che il piano tecnico di Okc è stato di lasciare a lui ogni rimbalzo disponibile, dandogli la possibilità di correre in semi transizione e di attaccare le difese prima che si schierassero–strategia che non ha impedito a Oklahoma di essere comunque la miglior squadra a rimbalzo della regular season.

Sicuramente la scelta tattica ha inflazionato le statistiche e lo ha favorito nel raggiungimento della fatidica quarantaduesima-tripla-doppia ma questo non va a sminuire quella che a tutti gli effetti può essere considerata un’impresa sportiva.

Per comprendere l’entità di ciò che significa concludere una stagione con una tripla doppia di media nell’epoca moderna è necessario contestualizzare quanto fatto da Russel oggi con quanto fatto da Robertson nel suo periodo storico. La stagione nba a cavallo tra il 1961 e il 1962 –quella delle 41 triple doppie di The Big O− è, a livello numerico, probabilmente la più iconica della storia della lega: oltre al record di Robertson, durante quella regular season Wilt Chamberlain segnò 100 punti in una singola partita e concluse la stagione con 50 punti e 25 rimbalzi a partita; Bill Russel vinse l’mvp addizionando 19 punti e 23.6 rimbalzi e Elgin Baylor viaggiò per tutta la stagione a 38 punti e 18 rimbalzi ad allacciata. Una simile produzione statistica poté verificarsi principalmente per tre ragioni. La prima: all’epoca le squadre totali erano 9, il che significa che le eccellenze come Wilt Chamberlain, Bill Russel o Oscar Robertson avevano un ristretto bacino di concorrenza. In secondo luogo, il pace della lega –ovvero la stima del numero di possessi giocati su 48 minuti– nella stagione 1961-1962’ era di 126.3 contro i 93.6 odierno, il che portava inevitabilmente ad una mole di tiri (e di rimbalzi disponibili) superiore rispetto a quella attuale e, infine, lo sproposito di minuti giocati in una partita da parte dei giocatori stella dell’epoca rispetto a quelli attuali.

Comparare le stagioni di Russel e Robertson aiuta a cogliere l’impatto dell’impresa del numero zero dei Thunder: se Westbrook avesse giocato gli stessi minuti di The Big O (44.3 di media a partita) e con lo stesso pace dei Cincinnaty Royals di quella stagione (124.9 possessi su 48 minuti), secondo una simulazione virtuale, le sue medie sarebbero state di 40.6 punti, 13.6 rimbalzi e 13.2 assist; la simulazione a parti invertite, invece, rivela che se Oscar Robertson fosse rimasto in campo 34.8 minuti a partita giocando 97.8 possessi in media su 48 minuti –ovvero i minuti giocati dall’ex UCLA e il pace di Okc nella stagione appena conclusa– , avrebbe terminato la stagione mettendo a referto 24.2 punti, 9.8 rimbalzi e 8.9 assist.

Spesso risulta controproducente comparare decadi sportive così distanti ma mai come in questo caso contestualizzare il record di Westbrook può aiutarci a cogliere la portata di una singola stagione che riserva al playmaker dei Thunder un posto molto vicino a quello dei più grandi– tanto che non sono tardati ad arrivare gli omaggi proprio da chi viene considerato all’unanimità IL più grande.

Prima ancora di essere un atleta, il neo mvp della lega è un personaggio e un uomo controverso. Come abbiamo già detto, tra i suoi intenti non sembra esserci quello di convincere il mondo di meritare gli omaggi che ora, in parte, gli stanno venendo attribuiti. Questa attitudine si rivela essere a volte un limite a volte la sua forza, quel che è certo è che se Russell Westbrook non fosse ciò che è non avremmo mai assistito alla cavalcata verso la storia che ha compiuto nel corso della stagione appena terminata. Che cosa ne pensiamo a riguardo è irrilevante. A questo proposito calza perfettamente una citazione di Federico Buffa, riferita in quel caso a Rasheed Wallace ma perfettamente in linea con il contesto: ”Con Russ non è à la carte. Non scegliete voi, sceglie lui, è prezzo fisso. Prendere o lasciare.

Io, e spero molti di voi, prendiamo.”

Tags: MVPthunderWestbrook
Davide Durante

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