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Timberwolves Form

Alessandro Pagano by Alessandro Pagano
6 Settembre, 2019
Reading Time: 8 mins read
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Un rovente mese di agosto, il primo di un redivivo LeBron James tornato in patria. Qualche settimana prima, intanto, i Cavaliers avevano messo le mani su Andrew Wiggins, un classe ’95 ritenuto incredibilmente simile – in prospettiva – allo stesso Re dell’Ohio in termini fisici e numerici. Il prodotto dei Jayhawks, infatti, ha chiuso le sue 35 partite con la maglia di Kansas con 17.1 punti di media in poco meno di 33 minuti a sera, tirando con il 44.8% dal campo, il 34.1% da 3 e il 77.5% ai liberi.

Il testa-a-testa con Jabari Parker lo ha visto trionfare ma la sua avventura in maglia (o in cappellino se preferite) Cleveland Cavaliers dura fino al 23 agosto 2014. In quei convulsi giorni di agosto, LeBron James decide letteralmente quale squadra vuole attorno. L’idea è quella di aggiungere al roster un pezzo forte come Kevin Love, al quale si può arrivare solo se si scambia la prima scelta assoluta dell’NBA Draft 2014. In quel sabato afoso, il centro dei Minnesota Timberwolves diventa un nuovo giocatore dei sine-and-gold, chiudendo una trade che coinvolgeva 3 squadre: ai Cavs va “The Beach Boy“, a Minneapolis arriva Wiggins, Bennett (altra prima scelta) e Thaddeus Young, mentre prendono la rotta di Philadelphia Lui Mbah a Moute, Alexey Shved e un first-round pick del 2015 di proprietà di Cleveland.

La vita cestistica di Love, dopo gli anni passati a UCLA, si divide in due grandi fasi: la prima passata nel gelo del Minnesota, a fare la fortuna di Timberwolves; la seconda, quella attuale, che lo vede impegnato sulle sponde del lago Erie. Il destino del #42 proveniente dalla University of California Los Angeles era già segnato da una trade, la prima della sua carriera: non viene scelto dai T’Wolves ma dai Grizzlies che mandano Mike Miller, Brian Cardinal, Jason Collins e il predetto Love a Minneapolis e ricevono la terza scelta O.J. Mayo, Antoine Walker, Marko Jarić e Greg Buckner.

La quinta scelta assoluta, con uno scenario che avrebbe anticipato di qualche anno quello di Wiggins, non ha neanche il tempo di infilare il cappellino di Memphis che è già pronto a trasferirsi. L’impatto con la NBA è super fin dal primo giorno: giocherà in maglia Timberwolves un totale di 364 partite (6 stagioni), chiudendo a 20.3 punti, 12.7 rimbalzi e una serie di record di franchigia che non verranno spazzati via per un bel po’ di anni. Uno che vale sempre la pena ricordare è quello relativo al 30-30 game, l’unico giocatore nella storia dei Timberwolves a fare registrare una gara da 31 punti e 31 rimbalzi – solo Moses Malone c’era riuscito nel lontano 1982. 

Sembra passata un’eternità da quella partita del 21 novembre 2010. Già, perché Love negli anni è cresciuto, ha vinto con Team USA, ha conquistato i cuori dei tifosi T’Wolves – mai così innamorati di un giocatore dopo la prima pagina di KG – ma quando ti si presenta l’occasione di giocare al fianco di LeBron James, sai che è il momento di lasciar tutto e andare altrove. L’era dei Cavaliers per Kevin Love non assomiglia neanche lontanamente a quella vagamente dominante vista ed ammirata dal 2008 al 2014: la pioggia di critiche si sposta rapidamente dal “capo di tutto” e vero architetto di questa trade, LeBron James, al californiano nipote del più noto Mike Love, uno dei cinque fondatori dei The Beach Boys.

Il rendimento di Love è altalenante, discontinuo, esattamente come il “surfare” che tanto raccontano lo zio Mike insieme a Brian Wilson, David Marko, Bruce Johnston e Al Jardine. Se prendessimo come punto di partenza proprio “Surfin’ U.S.A.“, uno dei pezzi storici del gruppo californiano, potremmo sintetizzare la prima stagione di Love in questi versi: “We’ll all be planning that route. We’re gonna take real soon. We’re waxing down our surfboards. We can’t wait for June“. Love sostanzialmente aspetta questo giugno, gioca tutta la stagione in previsione di esplodere definitivamente quando conta ma Kelly Olynyk, lo stesso che sta incontrando nella serie contro i Celtics, ha idee ben diverse: gli disloca una spalla e lo costringe a guadare le successive partite – Finals comprese – da un letto di ospedale. Le critiche, però, restano. Il suo ruolo all’interno di un sistema fatto da Big3 resta ignoto, venendo coinvolto solo ed unicamente ad inizio partita e nei momenti indispensabili.

Come può un giocatore che ha dimostrato di essere letale dall’arco, che sa fare la voce grossa nel pitturato, che tira giù 1122 rimbalzi in una stagione (15.2 di media nel 2010-11, suo career high), scomparire ed eclissarsi nel giro di una stagione? Come può Love, in termini pratici, passare da una stagione che lo vede protagonista con 20+15.2 ((Abbiamo considerato la stagione 2010-2011 perché nelle successive due metterà insieme solo 73 partite a cifre molto simili)) ad una stagione di ambientamento ma da 16.4+12.5 di media? In termini numerici non sembra così evidente il calo ma il campo racconta aspetti sempre diversi da quello che poi mostrato i numeri.

Kevin Love non si è perso d’animo. Ha ammesso di aver accusato la pressione durante la prima stagione, ha ammesso di essersi sentito responsabile di ogni cosa lo abbia coinvolto in campo e fuori dal campo ma non ha perso di vista quella rotta che lo porta a metà giugno, la stessa percorsa l’anno scorso, fino in fondo, fino a quell’anello che lo consacra come merita. Quell’altalena, o quel surf se preferite, è finita con l’inizio della stagione 2016-2017, quando finalmente quella opprimente pressione si è allontanata da quello che veniva ritenuto “The Mistake on The Lake“.

Le sue cifre quest’anno sono senza ombra di dubbio le migliori che abbia mai fatto registrare in un contesto così importante e ad un livello di pallacanestro così interessante: in 60 partite ha giocato 31.4 minuti di media, ha chiuso con 19 punti a sera ai quali vanno aggiunti gli 11.1 rimbalzi catturati (2.5 offensivi e 8.6 difensivi) ogni volta che si è allacciato le scarpe e la quasi palla recuperata che garantisce ai suoi ogni partita; in termini di shooting stats, ha tirato con il 42.7% dal campo (6.2 tiri segnati di media sui 14.5 presi), con il 47.1% da 2 punti, con il 37.3% dall’arco (2.4 triple segnate di media sui 6.5 tentativi) e con l’87.1% dalla lunetta (4.3 liberi convertiti e 4.9 guadagnati). Tutti i numeri segnati in grassetto sono le migliori cifre che Love ha fatto registrare da quando veste la canotta wine-and-gold.

Il suo ruolo all’interno della squadra in queste 3 stagioni è profondamente cambiato e trova il suo apice in questa post-season, dove Love sta viaggiando a cifre molto più che interessanti. Per tutti coloro che non lo ritenessero un BIG, seguono i parziali: in 12 partite fin qui disputate, ci sono 17.3 punti di media in 32.4 minuti di impiego, con 10.3 rimbalzi (1.3 offensivi e 9 difensivi), quasi 1 stoppata a sera, il 46.4% dal campo (5.3 tiri realizzati in media su 11.5 presi), il 47.9% da 3 punti (2.9 triple a gara su 6.1 tentativi), un ottimo 44.6% da 2 punti e un 84.9% dalla lunetta che non fa mai male. Praticamente tutti i numeri sono evidenziati, testimonianza del fatto che i playoff 2017 sono i migliori mai giocati dal californiano.

Un unico numero non è sottolineato ed è quello dei tiri tentati di media. Quegli 11.5 tiri che prende in media rappresentano la perfetta evoluzione del ruolo di Love all’interno delle dinamiche molto complesse di una squadra senza alcun tipo di sistema di gioco. I punti e le percentuali sono altissime se consideriamo quella peculiare statistica e l’efficacia che Love sta dimostrando di avere va ben oltre l’immaginazione – e le speranze – di coach Lue. K-Love ha saputo prendere consapevolezza del fatto che ha un numero limitati di tiri da dover gestire e ne avrà di più solo nel momento in cui metterà quelli che ha a disposizione. Un tipo di ragionamento che, detto in parole povere, i vari McHale e Saunders non hanno mai applicato al #42.

A Minnesota il suo gioco era perimetrale e quando la palla non era tra le sue mani il pitturato era sicuramente la miglior area di caccia. Kevin love ha saputo evolversi, ha saputo mutare la sua forma, ha saputo riadattarsi ad un contesto che non lo vede più in prima punta, ad un mondo che fino ad allora gli era sconosciuto. Il numero di possessi che i Cavs scelgono di affidargli, soprattutto all’ombra dei cristalli, è un chiaro segno che va nella direzione di cui sopra. Love, dopo due stagioni passate a fare “il Kyle Korver nel ruolo di lungo”, si è guadagnato il diritto di isolamento, un compito che spettava solo a LeBron e a Irving.

Grazie ai numeri che abbiamo analizzato in precedenza, invece, anche il #0 dei Cavaliers ora ha le sue chances di potersi giocare le sue carte in post (alto o basso che sia) e in questi playoff sta mietendo più vittime di quanto Cleveland stessa si aspettasse. Avere la possibilità di concedersi un 1-contro-1 su un quarto di campo libero è un’opportunità che non aveva dai tempi di Minnesota. Una sorta di ritorno alle origini che non scombussola i piani del coach in panchina e del coach in campo dei Cavaliers: Love è una pedina perfetta per allargare il campo in ampiezza e la sua grande risposta nel pitturato si sta legando magnificamente a cifre eccellenti con i piedi dietro l’arco. Aver ritrovato un tirato con +45% da 3 punti significa potersi affidare ad un jolly non indifferente.

 

LeBron James – lo stesso architetto che lo ha voluto fortemente in squadra dopo aver condiviso con lui i successi con la nazionale –  dopo la maestosa G1 giocata ha ammesso dopo una domanda di Dave McMenamin:

“Non sono sorpreso dal suo rendimento in gara-1. Sapevo che avrebbe sfoderato una prestazione del genere. Vogliamo vedere il Kevin dei tempi di Minnesota, con la stessa mentalità. Tutti noi sappiamo che ha tantissimi punti nelle mani, ma qui il suo gioco è cambiato un po’, perchè ci sono tanti altri giocatori in grado di segnare. Ma la sua durezza mentale deve essere la stessa di quando militava nei Timberwolves, e penso che stia continuando a sentirsi sempre più a suo agio in questo nuovo ruolo. In gara-1 è stato aggressivo, ha tirato alla grande, sa che spesso è marcato da un esterno e può portarlo in post-basso. Lui e Tristan Thompson hanno dominato a rimbalzo nel pitturato. E’ andato nove volte in lunetta: è questo il Kevin che vogliamo”.

Non una dichiarazione così banale. LeBron James punta su quella che abbiamo definito la Timberwolves Form, una sorta di forma mentis che porti Kevin Love ad esprimersi agli stessi livelli altissimi fatti vedere durante i nevosi inverni in Minnesota. Quella durezza mentale non solo viene confermata da Love (“Non mi importa se sto prendendo 5 tiri o 25. Voglio solo vincere. So di poter avere un impatto sulla partita, al di là del fatto che ciò emerga dalle statistiche o meno. Penso che questo mi abbia aiutato a sentirmi a mio agio in campo“) ma è rappresentata da numeri che in queste Eastern Conference Finals sono in netta crescita.

G1 @ TD Garden: 33 minuti, 32 punti, 12 rimbalzi (1 OR + 11 DR), 1 palla recuperata, 1 stoppata, 9/16 dal campo, 6/9 da 3, 8/9 ai liberi, +17 di plus/minus. Cavaliers W.

G2 @ TD Garden: 26 minuti, 21 punti, 12 rimbalzi (3 OR + 9 DR), 1 palla recuperata, 7/14 dal campo, 4/9 da 3, 3/4 ai liberi, 1 palla persa, +34 di plus/minus. Cavaliers W.

G3 @ Quicken Loans Arena: 35 minuti, 28 punti, 10 rimbalzi (1 OR + 9 DR), 2 stoppate, 8/16 dal campo, 7/13 da 3, 5/7 ai liberi, 2 palle perse, +4 di plus/minus. Cavaliers L.

G4 @ Quicken Loans Arena: 41 minuti, 17 punti, 17 rimbalzi((Nuovo massimo in carriera in un contesto di playoff NBA)) (2 OR + 15 DR), 1 palla recuperata, 5 assist, 1 stoppata, 6/13 dal campo, 3/5 da 3, 2/2 ai liberi, 1 palla persa, +7 di plus/minus. Cavaliers W.

Eastern Conference Finals stats (per game): 33.8 minuti, 24.5 punti, 12.8 rimbalzi (1.8 OR + 11 DR), 0.8 palle recuperate, 1 stoppata, 1.5 palle perse, 53.3% dal campo, 55.5% da 3, 85.7% dalla lunetta.

I numeri di Kevin Love sono impressionanti e il suo nuovo career high in postseason in termini di rimbalzi è la prova che la trasformazione verso la Timberwolves Form è quasi del tutto completata. Una trasformazione doverosa per, una trasformazione che ha richiesto tempo ma che sta avendo finalmente i frutti sperati dalla dirigenza dei Cavs. Un Kevin Love totalmente diverso da quello delle prime stagioni in maglia Cavaliers, un giocatore che sta progressivamente sviluppando il suo gioco per completarsi e per completare una squadra che potrebbe già stanotte approdare per il terzo anno di fila alle NBA Finals.

Tags: CavaliersJamesLove
Alessandro Pagano

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