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L’arte della guerra secondo Brad Stevens

Alessandro Pagano by Alessandro Pagano
6 Settembre, 2019
Reading Time: 7 mins read
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Nel trattato di strategia militare “L’arte della guerra“, Sun Tzu è convinto che “Devi apparire debole quando sei forte, e forte quando sei debole” per riuscire ad avere la meglio sul tuo diretto avversario.
Un’ulteriore conferma arriva dalla penna del letterato Tu Mu, storico funzionario della corte imperiale, dal quale Brad Stevens deve aver preso a piene mani, perchè nel commento della colossale opera spiega:

“Vuol dire che, se uno intende simulare disordine per ingannare il nemico, deve in realtà essere molto ben disciplinato; soltanto così può fingere confusione. Chi desidera apparire debole per rendere il nemico audace e imprudente, deve essere in realtà fortissimo; soltanto così può simulare debolezza“.


Come si collega un assunto del genere, un aspetto così filosofico con il meraviglioso mondo della pallacanestro?
Basti guardare un uomo di appena 175 centimetri dominare in una lega di giganti e trasformare la sua debolezza in un punto di forza.In realtà, come dice un famoso proverbio, una sola noce non riesce a creare rumore in un sacco, quindi non è solo la follia di Isaiah Thomas a contribuire a questa trasformazione.

La mano di una intelligenza come quella di coach Brad Stevens, un allenatore che sta diventando sempre di più uno stratega in NBA, è evidente e cerchiamo di accompagnarvi, passo dopo passo, nella trasformazione di cui sopra.
La costruzione di un set offensivo che converta un nervo scoperto, come può essere identificata l’altezza di IT4, in una situazione da sfruttare a proprio vantaggio, come la % in the paint del talento da Tacoma, è il miglior modo per far sentire la propria sorella coinvolta al 100%.

Lo schema denominato Indy RIP, estrapolato direttamente dal playbook dei Boston Celtics, è il miglior modo che la prima forza della Eastern Conference metta in campo quando vuole “creare confusione” nelle difese avversarie come raccontava Tu Mu.
Snoccioleremo lo schema dei Celtics per studiarne la composizione, le varie fasi che portano Boston a concludere e le varianti che possono nascere in base alle scelte difensive.

Lo schema inizia con il playmaker che sceglie un lato del campo, mentre gli esterni si posizionano negli angoli. I lunghi, invece, si posizionano sul lato opposto a quello scelto, nel caso, da Thomas o Rozier. La partenza del set è rappresentata dall’hand-off tra 1 e 4, con il conseguente movimento del centro che blocca su chi effettua il passaggio consegnato. Il particolarissimo taglio a “U” operato dal più piccolo in campo (si alternano sostanzialmente Isaiah Thomas, Terry Rozier e in qualche occasione Marcus Smart) obbliga la difesa ad una scelta, ovvero sia ad esporsi a quello che essa stessa ritiene il minore dei mali. La scelta può ricadere sul taglio del playmaker, sulla ricezione in angolo di un tiratore se il lato forte decidesse di aiutare o ancora sulla ricezione del lungo che dopo il blocco si apre. Nella prima soluzione, come vediamo, si va per il gioco di Thomas in post basso.

Potrà sembrare strano, quasi come fosse un ossimoro cestistico, ma sì, Stevens sceglie di mandare (quasi) in post basso un giocatore di appena 175 centimetri. In realtà, i numeri danno ragione a Stevens; se analizziamo le percentuali di Thomas, utilizzando come criterio di valutazioni 5 distanze dal canestro, ci accorgiamo che la più alta resta quella più vicino al ferro (assunto non così banale se consideriamo l’altezza di Thomas). Se, infatti, consideriamo i range di tiro di Isaiah, avremo:

  • Da 0 a 3 piedi, cioè da 0 centimetri a 91.4 centimetri dal ferro: 59.1%
  • Da 3 a 10 piedi, cioè da 91.4 centimetri a 3.04 metri: 35.7%
  • Da 10 a 16 piedi, cioè da 3.04 metri a 4.87 metri: 51.6%
  • Da 16 piedi e più, senza superare la linea del tiro da 3, ovvero sia da 4.87 metri a 7.24 metri: 50%
  • Da 3 punti, cioè da 7.25 metri: 37.9%

Questa prima soluzione, dunque, non viene solo supportata da un discorso meramente, di coinvolgimento se vogliamo, ma anche dai numeri – secondari ma mai totalmente da trascurare nell’ideologia di Stevens, specie quando il livello di pallacanestro si alza come nei playoffs.
Naturalmente non è solo Thomas il fulcro centrale di questa prima situazione, perché senza un buon bloccante ma soprattutto senza un passatore con mani delicate, quel passaggio che vediamo fare a Crowder – ma che spesso tocca a lunghi come Olynyk e Horford – sarebbe totalmente disfunzionale per l’attacco.
La ricezione dinamica di Thomas aiuta il piccolo grande uomo a prendere un vantaggio in termini di rapidità e costringe la difesa ad una scelta immediata se non vuole incappare in due punti comodi.

Proprio dalle scelte difensive riusciamo a spostarci sulla seconda situazione, ovvero sia la prima variante dell’Indy RIP eseguito dai Boston Celtics. Arrivati al taglio profondo di Thomas, la difesa può scegliere di passare sopra il blocca e quindi di tagliare tra il proprio compagno di squadra e il bloccante, oppure di inseguire forte e restare sostanzialmente incollato al giocatore in verde. Un altro problema che può insorgere è una ricezione difficoltosa da parte del lungo che deve passare la palla sul taglio: i problemi di timing e spacing sono ricorrenti in ogni situazione e per questo motivo il gioco non può fermarsi alla prima soluzione. Se, quindi, il passaggio per Thomas non avviene, si aziona un’altra componente “inaspettata” del gioco del #4 in maglia Celtics.
Vederlo tagliare a centro area, ricevere e giocare un simil-post basso rientra ancora nei ranghi dell’immaginario collettivo ma immaginarlo da bloccante può sembrare un ossimoro quasi ancor più inverosimile.
Stevens decide, quindi, di esagerare con l’utilizzo inverso delle debolezze e manda IT4 a bloccare sul lato debole, il lato opposto a dove staziona la palla. Il blocco, non certo granitico come quello di Al Horford o di Amir Johnson, serve solo ed esclusivamente per permettere all’esterno, che sia Crowder come nel nostro caso o che sia Bradley/Smart, di mettersi con le spalle davanti al suo avversario.

Anche in questo caso, la scelta della difesa resta fondamentale per la corretta esecuzione del gioco. Nella nostra clip si nota bene come McDermott e Rondo – non proprio due sui quali Hoiberg fa affidamento per risolvere le partite nella metà campo dei Bulls – non comunicano per nulla, restando quasi spiazzati dal movimento di Thomas. McDermott sceglie di passare sotto al blocco, Rondo invece resta alto per coprire l’uscita del playmaker Celtics. Il risultato è chiaramente un misunderstanding difensivo e due punti generati da una situazione del tutto inaspettata per la difesa. Ci vogliono poi le qualità fisiche e tecniche degli esterni per finire nel migliore dei modi nel pitturato.

Coach Stevens, però, non si ferma a questa doppia variante. Può succedere che la difesa riesca a comunicare in tempo, riesca quindi a trovare un modo efficace per rendere vano il blocco di Thomas e quindi neanche il passaggio per l’esterno liberato vada a buon fine. L’ultima variante dell’Indy RIP è rappresentata dall’arma principale di Thomas e dei Celtics: l’imprevedibilità palla in mano di IT. La terza situazione prevede due ottime difese, sia sul consegnato e sul taglio sia sul blocco di Thomas per liberare uno dei due esterni nell’area colorata. La terza ed ultima soluzione che Boston decide di esplorare è la classica situazione del blocco verticale per l’uscita dai blocchi del giocatore più pericoloso.

Dopo il blocco cieco e orizzontale del piccolo per l’esterno, ecco che chi ha ricevuto l’hand-off torna ad essere parte attiva di un attacco che resta comunque sempre in movimento. Nella nostra clip, vediamo bene come Olynyk faccia di tutto per far prendere un vantaggio netto a Thomas per costruirsi un tiro pulito dalle alte percentuali.

Il timing del passaggio del numero 5 in questo caso è di vitale importanza perché se il ribaltamento arriva con mezzo secondo di ritardo, il difensore è nuovamente tra palla e canestro e il vantaggio, preso sfruttando il blocco, da Thomas è stato inutile. La soluzione che vediamo è la più classica per IT, un tiratore dal 38% dall’arco (con 245 triple mandate a bersaglio in stagione regolare). Va sottolineato, però, come quest’ultima non sia l’unica utilizzabile dall’attacco dei Celtics, sempre pronto a trovare il tiro migliore e a più alta percentuale.
La scelta di Thomas di ricevere e tirare subito paga numericamente, perché quando tira in catch-and-shoot, ovvero sia senza l’utilizzo del palleggio, il #4 si dimostra essere una superstar:

tirare con il 39.5% quando i piedi sono dietro l’arco e con il 63% quando i piedi sono all’interno dell’arco non è opera per tanti.

Se poi ci aggiungiamo che l’uomo soprannominato “King in the Fourth” tira con il 31% in uscita dai blocchi, allora la difesa è costretta a delle scelte ben ragionate.

Le strade che portano Thomas e Boston a realizzare possono essere diverse, arrivati a questo punto: la prima è il catch-and-shoot di Isaiah; la seconda potrebbe essere la penetrazione centrale con il difensore che insegue dopo il blocco; la terza potrebbe essere un attacco fatto più di letture che si impulsi.
IT una volta messo il difensore alle spalle con un’uscita curl – quindi ricciolando e non uscendo per mettersi subito fronte a canestro – può penetrare e far scegliere alla difesa il male minore.
L’opzione “pick your poison” che offre Boston quando Thomas gioca di letture è la più velenosa della NBA, subito dietro ad attacchi che dispongono di atleti migliori come LeBron James, Russell Westbrook o Kevin Durant. Se la difesa, dunque, sceglie di coprire sui tiratori (Boston è la 14esima squadra per percentuale di tiro da 3 con il 35.9%), allora Thomas avrà lo spazio per giocarsi la penetrazione e andare a concludere al ferro. Se, invece, la difesa avversaria decidesse di impedire due punti comodi al ferro al playmaker dei Celtics, allora si aprirebbero le strade per due tipi di soluzioni:

  • la prima prevede la palla in uno dei due angoli dove liberare Crowder (che tira dagli angoli con il 47.8%) o Bradley (che tira dagli angoli con il 39%);
  • la seconda prevede lo scarico per lunghi come Horford e Olynyk, entrambi pregevoli tiratori dal midrange (39.2% per il dominicano, 36.4% per il canadese).

Gli assetti tattici sperimentati dallo stratega che è diventato negli anni coach Brad Stevens assumono sempre più le sembianze di schemi studiati e organizzati in modo tale da sfruttare i difetti trasformandoli letteralmente in falle del sistema difensivo. L’utilizzo di ossimori cestistici così come ve li abbiamo raccontati sembrerebbe una pura follia in una lega che si evolve sempre di più a livello fisico e che fa del testosterone una discriminante sempre valida per dividere le stelle dai buoni giocatori. Stevens ha letteralmente preso un neo di un super giocatore e lo ha elevato ad un’arma che trova spiazzate le difesa, a situazioni che ingannano il nemico per farlo sentire forte, prima di cadere sotto i colpi di chi si ritiene non possa creare problemi. È questa la miglior interpretazione dell’arte della guerra secondo un genio come Brad Stevens. Le armi tattiche dei Boston Celtics, in fondo, si basano esattamente sul concetto che magnificamente esprimeva Sun Tzu: “Devi apparire debole quando sei forte, e forte quando sei debole”. 

Tags: celticsnbaplayoffsStevensThomas
Alessandro Pagano

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