Non appena gli Indiana Pacers hanno annunciato la firma di Lance Stephenson con quello che è una sorta di triennale (l’ultima manciata di partite quest’anno con i Playoffs, più l’anno prossimo e una team option per il 2018-19), la prima cosa che ho fatto è andare su giphy.com e cercare una gif in particolare. Non una schiacciata, un assist no-look oppure una di quelle esultanze che stanno tanto bene come chiusura dei mix su YouTube come magari sarebbe successo per altri giocatori. Questa.

Non esiste niente che definisca Lance Stephenson meglio di questi pochi secondi. C’è l’arroganza di andare a provocare dal nulla il giocatore più forte del pianeta. C’è la cattiveria agonistica nel suo sguardo. E poi ovviamente c’è LeBron James e ci sono i Miami Heat. Recentemente i Boston Celtics hanno organizzato un party per festeggiare il decimo anniversario dalla vittoria del titolo del 2008 e non hanno invitato Ray Allen, perché colpevole di aver firmato con gli Heat e aver vinto con loro un titolo. “Miami era il nemico” ha spiegato Rajon Rondo, e forse non c’è stato mai nessuno che abbia provato disprezzo per quella squadra più dei Celtics. Ma se questa fosse una classifica, una “lista di nemici degli Heat dei Big Three” potremmo tranquillamente mettere Lance Stephenson al secondo posto.
La gif risale alle Finali di Conference del 2014, precisamente alla Gara-5 vinta dai Pacers, che si portarono sul 3-2 prima di perdere la sesta e venire eliminati. Una gara che rappresentò un incubo per LeBron, condizionato dai falli (alla fine 5), in campo solo 24′ e con un bottino di appena 7 punti, suo carreer-low ai Playoffs. Non ci fu solo questo: nella stessa serie Stephenson improvvisò una abbastanza clamorosa simulazione, rimanendo a terra e dando origine a una discreta quantità di meme e si scontrò verbalmente e fisicamente con Dwyane Wade (che l’anno prima lo aveva colpito così). Fu la “sua” serie, e Gara-6 segnò anche l’ultima apparizione in maglia Pacers prima di un lungo e sfortunato viaggio in diverse città d’America. Il contratto che Stephenson firmò con gli Charlotte Hornets il mese successivo fece storcere qualche naso perché considerato troppo economico per un giocatore che l’anno precedente aveva guidato la Lega in triple-doppie (4, leggerlo nella stagione delle 42 di Westbrook e delle 22 di Harden fa arrossire: questi erano i cari vecchi tempi…), ma si rivelò esattamente il contrario. Prima Charlotte, poi i Los Angeles Clippers, la trade ai Memphis Grizzlies, la firma con i New Orleans Pelicans, l’infortunio, il taglio, il ritorno, sei partite con Minnesota, di nuovo un taglio.
In questa gita per la Lega, Stephenson non si è mai avvicinato al giocatore visto ad Indiana. Né in campo, né fuori. E’ diventato un giocatore anonimo, appagato forse dal successo di qualche anno prima e dai dollari intascati grazie al contratto firmato con gli Hornets (18 milioni in due anni), sostanzialmente eclissandosi, aiutato da qualche infortunio di troppo. I 21 punti segnati a inizio stagione con i Pelicans avevano dato qualche illusione dopo il buon finale con Memphis l’anno scorso, illusioni spazzate via dal nuovo infortunio all’inguine che non ha fatto esitare New Orleans quando è stato il momento di tagliare i ponti. La situazione era talmente disperata che a Febbraio, prima di unirsi per qualche gara ai Timberwolves, Stephenson ha svolto un workout con i Cleveland Cavaliers del suo nemico numero uno. Quando il protagonista della storia è un ragazzo che definire emotivo e viscerale sarebbe un eufemismo, l’unica soluzione plausibile può però essere alla fine una sola: fermare tutto, guardarsi indietro e ricominciare da dove si era partiti.
Il caso ha voluto che la prima partita di Stephenson con i Pacers fosse contro lo stesso avversario dell’ultima: non Miami, ma LeBron James. E’ stata anche l’unica L di Indiana dal momento della sua firma. Nella seconda uscita, la prima davanti al pubblico della Bankers Life Fieldhouse, Born Ready è stato accolto come un Re contro i Toronto Raptors, e lui ha ripagato i presenti con uno degli show a cui li aveva abituati. Non sono i 12 punti, tuttora suo high in queste sei partite disputate con Indiana, ma come sono arrivati e come Stephenson ha giocato: lo stile, il linguaggio del corpo.
Quanto è Lance Stephenson quest’azione da 1 a 10? Il numero di palleggi, la completa invisibilità dei compagni, la voglia di segnare il primo canestro davanti al pubblico che lo ha osannato per anni, il ball handling incerto, il controllo del corpo quasi assente. Importa davvero che la palla non sia entrata?
I Pacers hanno vinto quattro o più gare consecutive in tre occasioni in quella che è stata una stagione molto altalenante: cinque successi tra il 30 Dicembre e il 7 Gennaio, sette tra il 26 Gennaio e il 6 Febbraio e infine ancora cinque nelle ultime uscite di stagione regolare, quelle con Stephenson in campo. Non si sta di certo cercando di sostenere che, a livello tecnico, l’attuale #6 dei Pacers faccia una differenza tale da determinare una striscia di vittorie che ha avuto pochi eguali della stagione della franchigia. Ma Stephenson era diventato un giocatore anonimo come non lo era mai stato a Indiana, e Indiana era diventata una squadra anonima come non lo era mai stata quando Stephenson vi giocava. Il nuovo matrimonio ha ridato vigore a entrambi, ha permesso ai Pacers di vincere 5 partite consecutive guidati dai canestri di Paul George, ma con sullo sfondo l’energia e l’entusiasmo di Born Ready, ed ha permesso a Lance di sfoderare nuovamente masterpiece di arroganza come questo.
In difesa non è sempre concentratissimo e spesso sottopone ad un ball hogging compulsivo la sua squadra (prima del 23.5% dei suoi tiri effettua più di 7 palleggi, e non è certo la prima opzione offensiva dei Pacers), ma è davvero questo l’aspetto più rilevante? Perché nel frattempo ha anche iniziato ad oliare gli ingranaggi off the court, ad esempio spezzando in due una mela a mani nude senza particolare motivo nel pre-partita della sfida con Philadelphia oppure rispondendo alle lamentele dei Raptors con un video inequivocabile su Instagram alla “Why Always Me?”. Tutte cose che alla NBA, ai Pacers e allo stesso Stephenson sono mancate per tantissimo tempo, quasi tre anni. Dopo l’ultima partita di stagione regolare contro Atlanta, che è valsa la certezza dei Playoffs, ha risposto così riguardo il ritorno ad Indianapolis: “Stavo tornando da un infortunio alla caviglia, quando ho ricevuto una chiamata. ‘Ehi, Lance. Are you ready?’. Oh, I’m Born Ready”.
Il destino poi ci ha messo ancora del suo: il primo posto nella Conference perso dai Cavaliers e le ultime vittorie dei Pacers hanno decretato l’accoppiamento al primo turno di Playoffs. Si ricomincerà da dove si era finito: LeBron James e Lance Stephenson uno contro l’altro, e anche se dal 2014 è cambiato tantissimo per entrambi, sarà un’estrema fortuna assistervi.