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Roger like Tim

Lorenzo Bonacina by Lorenzo Bonacina
6 Settembre, 2019
Reading Time: 7 mins read
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Roger e Tim potrebbero benissimo essere migliori amici.
Non vi è nemmeno uno straccio di prova sulla rete che possa verificare che i due si siano mai incrociati, anche solo per sbaglio, ma ho la convinzione che abbiano un’affinità ben sopra la media.
Non so se nella villa caraibica di Duncan, oppure nello chalet elvetico di Federer, ma se si venisse a sapere che i due, durante la loro carriera abbiano condiviso un periodo estivo non sarei per nulla sorpreso.
Non è il solo fatto di aver vinto molto, di essere stati i numeri uno o di aver speso gran parte della loro vita con il rumore del rimbalzo di una palla in sottofondo. I loro gesti, dentro e fuori dal campo, sono sorprendentemente armonici con il personaggio che incarnano.
Se si osservasse lo sguardo di Federer prima di un servizio si noterebbe che gli occhi sono sostanzialmente quelli di Duncan nella preparazione di un tiro libero, la concentrazione è massima e la focalizzazione dell’obiettivo assoluta.
Ci sono particolari che trascendono le statistiche, i liberi non sono mai stati una garanzia per Duncan ((69,6% in carriera)) tanto quanto il servizio non è mai stata l’arma principale di Federer (anche se con i 9734 ace in carriera è al terzo posto all time) ma nei momenti decisivi la mano è difficilmente tremata, la vista non si è mai appannata, il controllo delle proprie emozioni è sempre stato totale.
C’è una freddezza di fondo che accomuna queste due leggende, che pur essendo nati a 19 ore di volo di distanza, in due contesti totalmente opposti, riemerge nei momenti dove viene fatta la differenza tra vittoria e sconfitta.
Il tiro libero, e in parte vale anche per il servizio tennistico, è il momento in cui l’avversario scompare, non ha possibilità di intervenire, in cui sei tu l’artefice totale del tuo destino, ed è per questo che non sorprendeva vedere Duncan infilare due tiri liberi nei momenti in cui la palla pesa maggiormente oppure vedere annullare break point da Federer con un servizio vincente.

Ma non è solo la capacità di alzare il proprio livello di gioco nei momenti clou, infatti il punto di contatto tra Tim e Roger, vi è anche una vita privata: criptata ai media, dichiarazioni rare e di sobrietà assoluta, l’impossibilità di essere odiati, e anche il percorso sportivo dal punto di vista storico, fatto di apici e picchi.

Debuttano nel professionismo ad un anno di distanza tra il 1997 e il 1998, entrambi con l’appellativo di promessa, e non ci volle molto alla gente per capire che sarebbero diventati passo dopo passo l’emblema del rispettivo sport.
I primi successi non tardano ad arrivare, Tim più grande di un lustro anticipa di un anno Roger mettendosi il primo anello al dito alla fine dei playoffs del 1999, la media punti è spaventosa per un sophomore alla primissima apparizione alle finals: 27 punti, 14 rimbalzi e 2,2 stoppate.
Roger vince il primo torneo a soli 20 anni nei primi mesi del 2001, anno che lo porterà ad affermarsi a livelli altissimi anche negli Slam, sopratutto a Wimbledon dove, dopo aver battuto l’ex numero uno Pete Sampras, la sua cavalcata si interrompe ai quarti di finale.
Era solo l’alba della carriera di quello che è tuttora considerato dai più come il miglior tennista della storia.
Il 2003 è l’anno della consacrazione per entrambi: a distanza di 21 giorni, tra il 15 giugno ed il 6 luglio, Duncan sale sul tetto della lega vincendo MVP della regular season, titolo NBA e MVP delle finals battendo con una prestazione incredibile in gara 6 ((21 punti, 20 rimbalzi, 10 assist, 8 stoppate)) i New Jersey Nets di Jason Kidd, mentre Federer alza il primo slam al cielo nel palcoscenico più affascinante del mondo, il centrale di Wimbledon a cui legherà i momenti più importanti della sua carriera.

Nel 2004, dopo la vittoria del secondo Slam, a Melbourne sul cemento australiano, Federer viene investito della posizione numero uno dei ranking ATP, il ventitreenne svizzero si affeziona alla vetta che resterà nelle sue mani per 237 settimane consecutive ((record ancora imbattuto)).
Nello stesso anno Timmy riceve per la seconda volta consecutiva il premio di MVP, questa volta però la sua stagione si ferma alle semifinali di conference dove gli ultimi Lakers della coppia Shaq&Kobe si impongono per 4 a 2 sugli uomini di Pop. E’ solo un arrivederci poiché già nella stagione successiva il titolo viene riportato in Texas dopo un’epica serie contro i Detroit Pistons. Per Duncan è il terzo anello, il secondo accompagnato dal titolo di MVP delle Finals.

Nel corso della carriera di questi due campioni ad un certo punto c’è un prepotente inserimento di un altro personaggio, una sorta di anti-eroe, un avversario valoroso e per certi versi opposto a loro.
Si tratta di Rafael Nadal e LeBron James.

Sono due giocatori di nuova generazione, dotati di una freschezza e di una forza fisica superiore a chiunque altro. La leadership è in seria discussione ma, come succede solitamente, i campioni raggiungono il loro culmine nel momento in cui fronteggiano altri fuoriclasse che li spingono oltre il proprio limite trascendendo la storia fino a sconfinare nella leggenda.
Già dal primo incontro Tim e Roger capirono di essere di fronte ad un avversario pronto a scrivere la storia, il 20 febbraio del 2004 Lebron James mette a referto 32 punti ed 11 rimbalzi, decidendo la partita, e solo un mese dopo vi è il primo incontro tra un lanciatissimo Roger Federer, neo campione dell’ Australian Open, ed un diciassettenne Rafael Nadal, nel quale il maiorchino (il più giovane di tutto il tabellone) a sorpresa liquida l’elvetico con un secco 6-3; 6-3.

Le storie di questi quattro campioni continueranno ad intrecciarsi per tutta la loro carriera, Duncan giocherà tutte le ultime 3 sue finali contro LeBron James mentre Federer troverà Rafa addirittura altre 34 volte, 10 in una finale di uno Slam.
Nel 2007 James, malgrado una squadra non all’altezza, si ritrova a giocare la serie di finale proprio contro gli Spurs di Duncan, la stampa è pronta ad eleggere il nuovo Re, a donare l’anello al prescelto in un clima simile a quello che aleggia sul centrale di Wimbledon: Federer, dopo essere stato sconfitto per ben due volte in una finale di un open da Rafa (entrambe sulla terra rossa di Parigi dove Federer non ha mai battuto lo spagnolo), ritrova lo spagnolo sull’erba più bella del mondo, nel torneo che da 4 anni consecutivamente lo vedeva campione.
In palio non vi è solo l’open ma anche il numero uno del ranking ATP (inoltre Federer era considerato per distacco il miglior giocatore sull’erba) e una sconfitta su questa superficie potrebbe rimettere in gioco il suo status e probabilmente anche il suo ruolo nella storia del Tennis.
In entrambe le sfide sono i più esperti a spuntarla: a LeBron non viene concessa nemmeno una vittoria mentre la sfida tra Nadal e Roger è più combattuta, tanto da decidersi al quinto set.

Negli anni successivi però qualcosa cambia.
Dopo più di quattro anni, Roger perde la vetta della classifica a discapito dello spagnolo mentre le stagioni degli Spurs si concludono sempre prematuramente per problemi fisici o a causa di una forma altalenante condizionata anche dall’età dei suoi componenti. Entrambi gli atleti avevano toccato l’apice della loro carriera che era inesorabilmente destinata ad affrontare una decrescita fisica e di conseguenza anche di risultati.
Il tempo passa per tutti, questo è ovvio, ma i grandissimi campioni hanno un arco di parabola discendente d’inclinazione minore rispetto allo sportivo medio. Grazie a ciò che viene comunemente definita “classe” ma nel nostro caso anche grazie ad una mentalità focalizzata sull’obbiettivo, dall’assenza di distrazioni e da un profondissimo amore per lo sport.
Perchè Duncan e Federer sono anche questo, due giocatori straordinari che fanno amare e danno l’impressione di amare alla follia il loro sport, e l’ultimo capitolo della loro storia sportiva è proprio lì a dimostrarlo.

Federer torna sul tetto del mondo nel 2012, vincendo il suo settimo Wimbledon e riprendendosi la posizione numero uno del ranking mondiale. Dura poco, infatti dopo sole 17 settimane Novak Djokovic scomoda lo svizzero che da allora non riuscirà mai più a vincere uno Slam. Roger raggiunge le finali del 2014 e del 2015 a Wimbledon ma in entrambi i confronti arriva solo vicino ad alzare il trofeo che finisce nelle mani del serbo.
Anche Duncan raggiunge le finali nel 2013 circondato dallo stupore generale, a 6 anni dall’ultima volta.
La serie è ancora nella mente di tutti, 7 partite costellate di beffe per gli Spurs che prima si vedono pareggiare gara 6 a pochissimi secondi dalla fine da una tripla di Ray Allen e il 20 giugno vedono LeBron James alzare il suo secondo titolo.

L’immagine più nitida consegnata alla storia è però il viso furente di Duncan dopo aver sbagliato il lay-up del possibile pareggio, tutta la sua rabbia è rivolta a se stesso, come poteva aver gettato una così grande occasione al vento? Sicuramente nei giorni successivi Duncan è stato perseguitato anche dalla paura, la paura di aver sprecato la sua, e quella della sua squadra, ultima occasione per il titolo.

Ed è la stessa paura che ha raggiunto Federer al termine delle due finali perse sul centrale di Wimbledon. Giorno dopo giorno vedeva sempre più utopica la possibilità di alzare un’altra volta un torneo dello Slam.
Entrambi trasformarono la paura in motivazione, per continuare a fare meglio, per perfezionare anche i dettagli apparentemente secondari perchè la loro straordinaria carriera meritava un ulteriore riconoscimento.
Duncan lo ebbe, solo 12 mesi dopo, contro l’avversario di sempre, LeBron James.
E’ inutile dire che non fu l’uomo copertina di quelle finals, la grandezza di un campione è anche sapere in ogni momento qual’è il contributo richiesto dalla propria squadra, Duncan diede molto di più delle cifre riportare sul tabellino, diede un apporto fondamentale dal giorno dopo la sconfitta in gara 7 fino al giorno in cui ha alzato il trofeo al cielo, grazie alla suo leadership fatta di pacche sulle spalle e sguardi rassicuranti e non di strigliate o parole davanti ai microfoni.
Che Roger Federer potesse vincere un altro Slam penso fosse ritenuto possibile solo da lui stesso ma che questo potesse accadere al primo torneo giocato dopo la sconfitta in semifinale a Wimbledon inflittagli da Raonic, e il conseguente stop per infortunio, forse nemmeno lui. Oggi si troverà nuovamente difronte Nadal, che è riuscito a battere solamente 2 volte al fronte di 8 vittorie dello spagnolo nelle finali di uno Slam.

Se ci trovassimo in un film americano, che criticheremmo per l’estrema banalità, sapremmo benissimo comporre il finale senza bisogno di dover aspettare la conclusione della partita, ma la bellezza dello sport sta anche e sopratutto nell’imprevedibilità. Magari questa partita rappresenterà ciò che è stata gara 5 del 15 giugno 2014 per Tim Duncan, magari rappresenterà una grandissima delusione come gara 7 dell’anno precedente e la rivincita avverrà su quel centrale tanto amato oppure, più probabilmente, non vi è una così stretta connessione tra gli eventi di questi due personaggi e sul quel campo potrebbe succedere qualsiasi cosa.
Il risultato di oggi non muterà l’immagine di Federer né la sua carriera ormai scritta a fuoco nella storia, sarebbe solo un ulteriore passo verso la conferma che si tratti del giocatore migliore di sempre.
E magari nei sobri festeggiamenti per la vittoria potremmo intravedere Duncan perchè ne sono certo, Tim e Roger sono amici.

Tags: DuncanLeBron James
Lorenzo Bonacina

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