Al quarto anno AH (After Hinkie) i 76ers si stanno avvicinando lentamente al primo momento di scelte interne che potrebbero rivelarsi fondamentali per il futuro della franchigia. Dopo tre stagioni di ricostruzione mediante il draft e l’esasperato sfruttamento del tanking -sulla quale accezione più o meno negativa si potrebbero spendere fiumi di parole- Philadelphia si ritrova con uno dei core giovani più interessanti della lega ma la cui conformazione per “ruoli tradizionali” appare caotica e di complessa risoluzione. Un’eredità simbolo del concetto di “sacrificare tutto” per ottenere un giocatore capace di sconvolgere gli equilibri della lega professato dall’unico uomo capace di fare snowboarding in California.
Cerbero
Il giocatore in questione sembra essere finalmente arrivato -dopo due anni di gestazione spesi fra ospedali sul continente americano e centri di riabilitazione sportiva a Doha- e corrisponde a Joel Embiid, la testa più famelica e capace che -affiancata da Okafor e Noel- costituisce il Cerbero di centri che si è venuto a formare a Philadelphia.
Embiid è il giocatore più teatrale della NBA, ogni sua azione sul campo è seguita da una differente espressione e la sua produzione di “facce” sembra essere infinita. Che si tratti di una fortunosa tripla di tabella, di un errore ai liberi o di una chiamata dubbia, Embiid vive il bisogno di esternare al mondo il suo stato emotivo e questo -legato all’attesa spasmodica che ha preceduto il suo debutto e alla sua continua presenza sui social media– ha creato da subito un rapporto con i tifosi dei 76ers il cui più simile precedente è da ricercarsi in Allen Iverson.
Fra un coro di “Trust The Process” e l’altro, l’impatto di Embiid sulla NBA è stato impressionante sin dal debutto. La prima cosa che si nota guardando una partita del numero 21 è la sua stazza, Embiid non è solamente grosso rispetto ad un comune mortale, Embiid è grosso anche per gli standard dopati della NBA e lo sviluppo fisico che ha avuto nei due anni di recupero lo ha reso una combinazione di centimetri per chilogrammi con pochi eguali.
Dal punto di vista tecnico è riuscito a presentare sin dal primo giorno di scuola un credibile tiro da tre (ad oggi 41.8% su 2.9 tentativi a partita), una skill che spesso rimane limitata a promessa estiva per la maggior parte dei lunghi in via di sviluppo, e dopo due mesi di professionismo è già riuscito a creare una solida base di risposte agli adeguamenti delle difese, un elemento fondamentale nella creazione di una legittima gravità di tiratore.
Riceve con spazio, attende il recupero del difensore con una meccanica più rallentata del normale (elemento fondamentale per “vendere” una finta di tiro) e poi parte in palleggio, attende il collasso della difesa e serve Okafor per una comoda schiacciata. 7’2”.
Il suo gioco in post è ancora piuttosto acerbo, è capace di segnare contro un giocatore più piccolo o arrivare al ferro grazie ad alcune finte ma raramente lo fa con la continuità che lo renderebbe una minaccia capace di comandare continui raddoppi. La sua efficienza in post è al di sotto della media e gran parte del problema va ricercato nel numero di palle perse nella particolare situazione (22.8% dei possessi giocati).
Un movimento già consolidato è invece il gioco frontale, Embiid è capace di voltarsi con rapidità ed affrontare il diretto avversario con finte o tirando direttamente sopra le braccia protese della difesa, una situazione che facilità anche la lettura del campo aumentandone lo spazio visibile.
Ad inizio stagione vi erano legittimi dubbi sulla sua capacità di passare il pallone, complice il comportamento da “buco nero” tenuto in pre-season. Anche da questo punto di vista Embiid si è rivelato più avanti rispetto alle previsioni. È capace di compiere passaggi intelligenti, ed elemento ancora più positivo, li esegue senza rimostranze , una dimostrazione di quanto i dati delle prime partite fossero stati condizionati dalla voglia di stupire dopo due anni di stop.
Atleticamente è pazzesco per un discorso relativo a mobilità e coordinazione. La sua esplosività da fermo è mediocre per gli standard NBA ma è comunque capace di chiudere un lob anche se contestato. Dal punto di vista offensivo Embiid è già un giocatore ottimo i cui possibili -se non probabili- miglioramenti in post potrebbero portare nelle mani di Coach Brown una vera e propria macchina capace di alterare i piani difensivi di qualsiasi squadra avversaria.
Dal punto di vista difensivo i numeri del centro dei 76ers sono semplicemente folli a maggior ragione se ne consideriamo l’inesperienza sul campo, elemento mitigato dalle conoscenza che Embiid ha acquisito in due anni di convivenza con uno staff NBA. Quando Joel gioca la squadra ha un DRTG (punti subiti per 100 possessi) di 100.4, un dato che proiettato sui 48 minuti renderebbe la difesa di Philadelphia la seconda migliore della Association, una stessa difesa che precipita al terzultimo posto della lega (108 DRTG) quando il camerunense siede in panchina.
Già oggi Embiid ha dimostrato interessanti capacità di cambiare sui piccoli avversari (una delle skill sempre più ricercate in NBA) ed è uno dei rim protector più capaci della lega. Per contestualizzare le sensazioni che si hanno osservando una partita ci si può affidare ai numeri di SportsVU: quando si trovano fronteggiati al ferro da Embiid gli avversari tirano con il 42.9%, un dato inferiore di 12.9 punti percentuali rispetto alla media della lega e più in generale la differenza fra una difesa élite ed una mediocre.
Qua è il 2.9 player, cerca un contatto con un avversario per ri-azzerare i secondi difensivi e poi torna rapidamente a centro-area per coprire il ferro contro AD.
Esperimenti
Verificata l’eccezionalità del giocatore Brett Brown ha deciso di iniziare a sperimentare e nelle ultime due partite di Philadelphia ha schierato contemporaneamente Embiid ed Okafor con risultati certamente non soddisfacenti. Dal punto di vista offensivo è stato lo stesso Joel a fornire spiegazioni sui problemi di convivenza «Ogni volta che penetravo l’altro lungo era in mezzo. Devo solo capire cosa posso fare e cosa non posso fare.» Più in generale, limitare Embiid ad un ruolo perimetrale ne inibisce le capacità di scoring e la contemporanea presenza di Okafor toglie ritmo e spacing ad un attacco già di per sé ultimo nella lega.
Difensivamente i 76ers hanno adottato differenti approcci nelle quattro partite sperimentali giocate sin qua, nel primo incontro -contro i Raptors- Embiid si è occupato del quattro avversario incontrando in Siakam un giocatore offensivamente sterile ma ha avuto alcuni problemi di rotazione causati dalla naturale tendenza di andare a proteggere il ferro, spesso in situazioni in cui Okafor era già presente in zona. Nella seconda partita è stato il prodotto di Duke ad occuparsi del “4” avversario ed i risultati sono stati semplicemente imbarazzanti: Okafor non è mai stato in grado di accoppiarsi rapidamente in transizione ed è troppo lento per difendere su un giocatore capace di attaccare dal palleggio tanto che Randle ha concluso la partita con un career high di 25 punti con 10-13 al tiro. La seconda soluzione si è ripetuta nel match contro i Nets ed i risultati hanno seguito la falsariga già dettata in precedenza. Mentre nell’ultima sfida, Brown ha dirottato Embiid su Davis in un ritorno alle origini che però appare troppo limitante per le doti del camerunense.
In totale la coppia Embiid/Okafor ha giocato solamente 67 minuti assieme, un arco di tempo ancora soggetto alla casualità e probabilmente non completamente veritiero ma all’interno del quale i 76ers hanno proposto il peggior attacco NBA e la peggior difesa NBA, in contemporanea, un aspetto che non può non porre un’enorme punto interrogativo sulla sostenibilità di tale lineup.
Al di là della convivenza fra i due il vero problema in casa 76ers sorge nel constatare che i problemi di Okafor non sono una novità legata ai compagni con i quali condivide il campo. La versione sophomore di Jahlil non è che la riproposizione del suo anno da rookie la quale a sua volta era la fotocopia dello stesso giocatore visto a Duke. Ad oggi i dubbi legati al futuro di Okafor si rivolgono intorno ad un’unica discussione: cos’è che non sa fare? E cos’è che non vuole fare?
I suoi blocchi sono fra i più pigri della NBA, il contatto fra bloccante e difensore della palla è solitamente inesistente, e lo stesso Okafor si ritrova spesso nel movimento di taglio verso canestro prima che un qualsiasi vantaggio sia stato acquisito dall’attacco. Il gioco offensivo di Jahlil è ormai limitato- quasi con tendenze mono-dimensionali- alle azioni spalle a canestro, una situazione che occupa il 38.6% dei possessi giocati dal centro dei 76ers -secondo per frequenza- e la cui scarsa efficienza (0.85 PPP, 51.1 percentile) è principalmente dettata dall’assenza di lavoro nel ricercare una posizione profonda prima della ricezione del pallone, che non a limiti tecnici di un giocatore in realtà capace di finte e conclusioni elaborate. Molti di questi problemi possono essere risolti con un maggior effort diluito nel corso della partita, ma i problemi del motore di Okafor non sono una novità e rischiano di minarne la futura produzione.
A questo punto se l’ex-Duke non è un vantaggio nella metà campo offensiva i suoi problemi in difesa diventano insostenibili. Negli ultimi tempi ha dimostrato una buona capacità nel contestare i tiri grazie alla sua notevole apertura alare (226 cm) se in posizione corretta, ma l’evenienza è spesso una rarità all’interno di prestazioni difensive. Quante delle difficoltà incontrare da Okafor possono essere limate tramite l’esperienza e una maggiore comprensione del gioco?
Non sarà mai un atleta in grado di “ancorare” una difesa capace di creare problemi agli avversari ma la sua lunghezza potrebbe renderelo un difensore accettabile.
La terza testa del cerbero ha invece monopolizzato le ultime conferenze stampa dei 76ers. La crociata di Noel è iniziata lo scorso anno tramite l’invio di segnali di insofferenza nei confronti della soluzione a “tre centri” ed è continuata con la dichiarazione «I’m too good to be playing eight minutes» che ha seguito la sconfitta di Philadelphia contro i Lakers. Alle parole sono succedute le contromisure punitive di Brown (e Colangelo) con il declassamento di Noel a ruota di scorta utile solamente in caso di infortuni o problemi di falli per Okafor ed Embiid. Dopo un Coach-DNP contro i Nets, Noel ha giocato 6 minuti contro i Pelicans ma la sua situazione in campo continuerà ad essere legata a scelte societarie.
Due stagioni fa Noel è stato il miglior difensore in una squadra più che mediocre nella propria metà campo, ma il suo valore di scambio è ai minimi storici, a causa di un contratto in scadenza e alla chiara necessità dei Sixers di vendere un giocatore separato in casa. In attesa del ritorno di Simmons è evidente come il reparto lunghi di Phila sia saturo -oltre ai centri: Šarić, Ilyasova ed Holmes meriterebbero tutti minuti- ma la soluzione di abbandonare il progetto Noel potrebbe rivelarsi errata in una NBA sempre più attenta al particolare ruolo di “5” capace di difendere il ferro e cambiare sui piccoli.
Parallelamente il percorso di riconoscimento e divisione fra giocatori e semplici carneadi è sempre necessario per il roster della squadra. Sergio Rodriguez è spesso timido e simil-Rubio nelle sue scelte di tiro ma è ben più che qualificato per il ruolo che gli è stato ritagliato da Brown, è un passatore capace e ha dimostrato una buona chimica nei frequenti pick&pop con Embiid e Ilyasova. T.J. McConnel al contrario, è un giocatore estremamente aggressivo e pronto a morire sul campo per la squadra, ma presenta evidenti limiti tecnici e fisici e difficilmente potrà trovare spazio in una squadra con ambizioni.
Holmes è uno dei lunghi sconosciuti più interessanti della lega, ha mostrato interesse nello sviluppare un floater -come fatto notare da Lowe– da affiancare ad un tiro da tre in sviluppo e buone dote atletiche. È probabilmente piccolo per giocare come unico lungo -soffre a rimbalzo e non è un buon rim protector- ma la sua rapidità potrebbe rivelarsi interessante in determinati quintetti capaci di eseguire continui cambi difensivi.
Continuando sulla via delle note liete possiamo finalmente dirlo: Nik Stauskas (Stauskas!) è arrivato in NBA. La sua produzione non è aumentata significativamente rispetto allo scorso anno ma ha ritrovato fiducia al tiro (39% da tre) ed in diverse situazioni ha mostrato interessanti lampi di scoring. Il suo best case scenario dovrebbe limitarsi ad un settimo/ottavo uomo di rotazione, ma per uno che è stato precisamente maledetto da Vivek Ranadivé è impossibile chiedere di più.
Futuro
Grazie alla vittoria contro i Nets, i 76ers sono proiettati a raggiungere quota 20W per la prima volta dal 2012-13. Ma le prossime settimane potrebbero rivelarsi ancor più fondamentali per il futuro della franchigia della totalità delle 82 partite stagionali.
Colangelo si appresta a dover compiere le prime vere scelte da quando ha assunto le redini della squadra e dovrà dimostrarsi capace di sedare problemi che hanno avuto sicuramente presenza nella gestione Hinkie ma che non si erano mai resi pubblici come nel caso di Noel. Embiid e Simmons sono meravigliosi punti di partenza, adesso i 76ers devono iniziare a macinare metri e abbandonare -dopo aver individuato- alcune zavorre potrebbe rivelarsi necessario.