La prima manciata di partite dei New Orleans Pelicans sono state qualcosa di facilmente e velocemente dimenticabile: si è dovuto aspettare la nona uscita, contro i Bucks, per vedere la prima vittoria, dopo dodici incontri il record era di 2-10 ed i Playoffs, come un anno fa, sembravano un miraggio. Anthony Davis era così solo sull’isola che su misura per lui era stato coniato l’hashtag #FreeAnthonyDavis su Twitter, nonostante lui ribadisse di voler rimanere lungamente a NOLA. Davis era infatti partito con 50 punti contro Denver, poi 45 contro Golden State: due L. Cinque partite sopra i 30 punti nelle successive otto, ancora solo una vittoria.
Davis era solo, solo perché i due migliori giocatori dietro di lui, Tyreke Evans e Jrue Holiday, erano entrambi out. Il primo è tuttora lontano dai campi per via di un’operazione al ginocchio destro a cui si è sottoposto in estate. Le motivazioni dell’assenza del secondo, invece, erano molto più serie. Lauren Cheney, moglie di Holiday e storica calciatrice del campionato americano, è stata infatti diagnosticata a Settembre con un tumore benigno al cervello. La notizia ha rapidamente fatto il giro del mondo perché il playmaker dei Pelicans ha ottenuto un permesso per prendersi cura della moglie, saltando quindi l’inizio della stagione.
E mentre Anthony Davis lottava a mani nude in una gabbia di leoni senza quasi nessun aiuto (nelle prime partite la sua media punti era più alta delle quattro degli altri membri del quintetto di New Orleans sommate), Holiday era al fianco di Lauren in ospedale, con un pensiero in meno quando lei, che era anche incinta al momento della diagnosi, ha dato alla luce la loro prima figlia. Fortunatamente la coppia è uscita positivamente da questa serie di peripezie che potevano mettere a rischio la tenuta mentale di Holiday, qualora avesse deciso di continuare a giocare.
Holiday era quindi pronto a tornare in campo, in NBA, dove negli ultimi anni è stato leggermente accantonato. Sembrano lontanissimi i tempi in cui guidava i Philadelphia 76ers ai Playoffs per due anni di fila e veniva chiamato all’All-Star Game di Houston nel 2013. La situazione che ha trovato al proprio rientro non era troppo dissimile da quella dell’anno scorso, dopotutto. L’impatto però è stato assolutamente devastante su una squadra che, a parte Davis appunto, disponeva solo di qualche role player e un paio di scommesse (su tutte quella di Tim Frazier come point guard titolare).
Dal suo rientro, avvenuto durante la partita casalinga contro Portland, i Pelicans hanno vinto cinque delle prime sette partite disputate, rialzando la testa e proiettandosi perlomeno in direzione di una (non si sa quanto) illusoria corsa alla post-season. Nelle ultime tre uscite sono arrivate tre sconfitte, segnale chiaro che, comunque, di strada da fare ce ne sarà ancora molta. A vantaggio della reputazione di Holiday in questo suo comeback va anche il fatto che il calendario non fosse poi così semplice: sono arrivati infatti successi su Portland, Charlotte, Atlanta, Los Angeles Lakers, tutte squadre intorno al .500 di vittorie. I quattro passi falsi sono stati commessi in un secondo incontro con Portland, in un match infelice contro gli inguardabili e sfortunati Dallas Mavericks, e infine in tre difficili scontri con Clippers, Thunder e Grizzlies (contro i quali JH non è sceso in campo per un acciacco). Nelle prime nove partite, Holiday è sempre andato in doppia cifra tranne nel caso del successo su Minnesota e della sconfitta con i Clips. Il tutto partendo, all’inizio, sempre dalla panchina, perché Alvin Gentry ha preferito inserirlo gradualmente nelle rotazioni, nonostante non fosse reduce da acciacchi fisici, ma “solo” da una brutta, bruttissima esperienza personale.
L’importanza di Holiday è comunque stata chiara fin da subito: l’USG% ((percentuale che indica quanto il giocatore venga coinvolta nelle giocate della squadra quando in campo, si basa sul rapporto tra tiri dal campo, liberi e palle perse del giocatore e della squadra)) fatto registrare è stato il più alto nel roster per un giocatore privo di monociglio, segnale che il californiano è tornato immediatamente al centro del gioco dei Pelicans. Sia difensivamente che offensivamente. Perché ancora una volta si è confermato un eccellente difensore perimetrale, concede infatti appena il 27% da dietro l’arco agli avversari (8% in meno di quanto tirerebbero abitualmente), e nel frattempo distrugge tutto ciò che si gli si para davanti in attacco. Holiday sta infatti avendo una TS% ((True Shooting %, tiene conto di tutti i tiri, anche da tre e dalla lunetta)) quasi del 54% (secondo solo a Davis) e una Efficiency Field Goal% del 52% (terzo nel roster dietro al solito Davis e ad Asik, che però si prende solo tiri da sotto canestro).
Una particolarità di Holiday in questa stagione è che, pur essendo una point guard, è stato schierato in cabina di regia solo per l’1% dei minuti finché è partito dalla panchina (dato salito all’11% nelle ultime quattro partite), molto più frequentemente da guardia, addirittura anche da ala piccola (per il 9% dei minuti). Nella partita contro Minnesota del 23 Novembre, il prodotto di UCLA è stato accoppiato in difesa con Andrew Wiggins, ala piccola e autore di un inizio di stagione da urlo, riuscendo a tenerlo a 9 punti con 4/11 al tiro. Per questo suo utilizzo “particolare” (parliamo di un giocatore di 193 centimetri che ha giocato la stragrande maggioranza della carriera da point guard, soprattutto a Philadelphia) risulta poco coinvolto nei pick and roll come ball handler, più frequenti sono invece i pick and pop per Davis, spesso quando quest’ultimo arretra dietro l’arco, avendo aggiunto quest’arma al proprio arsenale l’anno scorso ed avendola perfezionata in estate.

Inoltre la presenza di Holiday sta migliorando nettamente non solo il record di New Orleans, ma anche il rendimento dei compagni, togliendo di dosso parte della pressione difensiva dalle spalle di Davis e rendendolo più libero, tant’è che dal suo ritorno le percentuali al tiro di Unibrow sono migliorate del 4%. Se poi è affiancato a Frazier, l’ex Sixers ne limita molto le lacune, soprattutto in difesa, quando si prende carico dell’esterno più pericoloso, ma anche in attacco, dove gli toglie un numero di possessi sufficiente ad abbassare il numero delle palle perse. Infine portando maggiormente palla, Holiday apre opportunità per Frazier, che si trova spesso wide open da dietro l’arco (con percentuali ancora molto migliorabili al tiro).

“Voglio solo portare energia alla squadra, aiutarla a segnare e a difendere” ha commentato di recente Holiday riguardo al proprio ritorno sul parquet. Ci sta riuscendo benissimo, forse anche grazie alla leggerezza che porta nel cuore dopo l’elevato stress a cui è stato sottoposto nei mesi scorsi per via delle condizioni di salute della moglie. I difetti ci sono, come ad esempio l’incapacità di andare in lunetta frequentemente (la miseria di 2.3 tiri liberi tentati di media in carriera) a fronte di una percentuale in queste ultime partite insufficiente (si parla del 61%, di gran lunga il peggior numero della carriera sotto questo aspetto), ma quella di Holiday ha le carte in regola per diventare una delle favole della stagione NBA 2016-17. Se i Pelicans dovessero avere successo nella propria risalita dal profondo blu dell’ultima posizione fino, magari, ad un ottavo posto (che nel momento in cui scrivo dista 4W), il merito sarebbe soprattutto suo, e rappresenterebbe un traguardo personale emotivamente ineguagliabile, perché il punto di partenza lo vedeva versare in paure e preoccupazioni.
A quel punto, finalmente, potremmo definirlo un Happy Holiday.