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NBA digital exhibition -The most improved player-

Lorenzo Bonacina by Lorenzo Bonacina
6 Settembre, 2019
Reading Time: 6 mins read
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Quando nella giornata di ieri ho finalmente trovato il tempo per visitare la NBA digital exhibition, la mostra multimediale sul basket americano a Milano, non mi aspettavo grossi cambiamenti rispetto a quella dell’anno passato.
Highlights, immagini ad effetto, la storia di qualche giocatore famoso e altre cose per avvicinare la gente alla NBA piuttosto che per noi patiti con le perenni borse agli occhi.
Ed invece l’intera mostra è stata una piacevolissima sorpresa, che ha compiuto un salto di qualità degno del most improved player, sia dal punto di vista estetico-stilistico sia per quanto riguarda la qualità e la ricercatezza dei contenuti.
Appena si mette piede nella mostra si ha un colpo d’occhio notevole, l’atmosfera ombrosa contrasta alla perfezione con la luce chiara, quasi incandescente, che circonda ogni postazione video.
Incomincio a girovagare all’interno della sala, rapito da questo gioco di luci totalmente azzeccato e butto l’occhio sui temi principali intorno ai quali sono costruiti i video.
Il modo di vederli è totalmente cambiato, quest’anno il visitatore è seduto su una panchina “sportiva” che ti fa addentrare ancora di più nel tema NBA, così come le cuffie che, oltre ad essere in numero doppio in ogni postazione rispetto allo scorso anno (vi è infatti la possibilità di ascoltare il video anche stando in piedi dietro alle panchine), sono tutte contraddistinte dal marchio della lega cestistica più famosa del mondo e questi sono particolari che, per quanto possano sembrare superflui, ed a mio avviso non lo sono, mancavano nella prima edizione la quale aveva un aspetto estetico più spartano.
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Vengo avvicinato da Francesco Finazzer Flori, Co-Curatore della mostra ovvero colui che sta dietro a gran parte del lavoro sporco, a cui faccio i complimenti per questi numerosi ed importanti miglioramenti estetici.
Scambio più di due chiacchiere con lui, ricevendo delle informazioni molto importanti.
Francesco espone quanto il suo progetto, sopratutto in questa edizione, sia stato quello di provare a creare una cultura della NBA, evitare che il ragazzino che si sveglia la mattina ed apre l’App della lega americana non sappia chi è Julius Erving (a cui è dedicata la prima postazione video), oppure che ritenga Steph Curry il miglior tiratore da 3 di sempre senza aver avuto la possibilità di vedere le gesta di due grandi come Ray Allen e Reggie Miller.
La mostra parte dal 1976 anno in cui, dopo l’accordo con l’ABA, la NBA ottiene il monopolio sui talenti diventando l’unica lega americana.
Perciò il primo step è dedicato a “Dottor J”, ovvero Julius Erving, ed è molto interessante perché delinea accuratamente il profilo di un personaggio che ai più piccoli, o a coloro che si sono approcciati recentemente alla NBA, è pressoché sconosciuto, sottolineandone l’importanza nel basket moderno per mezzo delle parole di Kevin Garnett e Lebron James.
James definisce Erving un precursore, indispensabile per la lega:

senza di Erving non ci sarebbe stato Magic, non ci sarebbe stato Jordan e non ci sarei nemmeno io.

La seconda postazione è intitolata dribbles move ed è un approfondimento sull’evoluzione del palleggio e di ciò che oggi definiremmo ball-handing, dai primi playmaker ed al loro stile, passando per l’imprevedibilità di Jason Williams ed arrivando fino a Steph Curry e Kyrie Irving.
La terza sezione è quella che anche a primo impatto mi attira maggiormente, intitolata Coaches’ voices, è concentrata su le figure degli allenatori NBA, parte con Pat Riley in un allenamento dei Lakers dello Showtime e arriva fino a Tyronn Lue nell’ultima stagione.
Questo video mostra sia gli allenamenti e sia i time-out di alcuni dei più importanti allenatori della storia della lega, c’è Popovich che chiama lo schema “TouchDown” che significava andare da Tim Duncan giocando sulle lettere iniziali del suo nome, oppure c’era coach K. alle prese con un allenamento della nazionale e ancora vi sono dei Time out carichi di carisma di Rivers, Donovan o Steve Kerr da farti davvero saltare sulla sedia.
Aiutare la crescita culturale sulla NBA, ma in questo caso in generale sul basket, significa anche evidenziare che i fenomeni non sono solo quelli che scendono in campo ma anche chi li dirige alla perfezione.
Non c’è orchestra senza un direttore all’altezza.
A proposito di orchestra, quello che è stato pensato nel video successivo è qualcosa di geniale.
Il titolo recita Bulls 1996 vs Warriors 2016, ciò che appare sullo schermo sono una serie di giocate individuali alternate tra giocatori delle due squadre più vincenti di sempre nella regular season.
Ciò che però rende speciale il video è il fatto che esso sia adagiato sulle sontuose note della nona sinfonia di Beethoven.
Il telos di questo video è a detta di Francesco rimarcare quanto, malgrado i tempi siano cambiati e si parli spesso di quello di oggi come di un altro basket, i movimenti della pallacanestro sono essenzialmente li stessi e i segreti per raggiungere la vittoria pure.
C’è una grande differenza tra il basket di oggi e quello dei decenni precedenti ovvero l’attitudine, a volte frenetica, delle squadre nella ricerca del tiro da tre punti, infatti ruotando un’ulteriore volta in senso orario di postazione, ci si ritrova difronte ad un video intitolato ‘three point shot’, un viaggio storico che parte dal primo tiro da 3 della storia, quello di Chris Ford il 12 ottobre del ’79, e passa attraverso le serate infuocate di Donyell Marshall, Kobe Bryant e infine di Steph Curry e le sue 13 triple contro i Pellicans.
Come già detto precedentemente, il video continua con due approfondimenti imperdibili su Ray Allen e Reggie Miller in cui viene evidenziato quanto il tiro non sia un dono come può essere l’atletismo o la velocità (su cui si può comunque lavorare) ma come sia fondamentale il duro lavoro, l’estrema dedizione e l’ossessione verso la propria meccanica di tiro, anche quando può sembrare perfetta.

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L’ultimo schermo è il più affollato e per scoprire perché basta leggere il titolo: “Kobe Bryant”
E’ facile cadere nella banalità, proponendo immagini famossisime e già viste quando si parla del black mamba, eppure il filmato comprende un sacco di contenuti e aneddoti inediti che disegnano Kobe da un’altra prospettiva.
Vedere il Bryant nel quotidiano, nell’allenamento oppure sul lettino del massaggiatore non è lo stesso che sentirlo parlare in conferenza stampa.
In poco meno di 20 minuti si è riusciti a riassumere 20 anni di carriera: dal giorno del draft all’ultima uscita allo Staples centre, dai siparietti con Shaq a quelli con Jack Nicholson, dagli schemi chiamati tramite una smorfia con Gasol al discorso con Ron Artest su gara 7 del 2010, dai sigari accesi ai fiumi di champagne versati nello spogliatoio e tante foto con il Larry O’Brian Trophy.

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La foto con il trofeo la potete fare anche voi visto che è l’ospite speciale della mostra, e Francesco ci tiene a sottolineare che non è una copia ma è il trofeo del 2014 arrivato direttamente da San Antonio.
Una volta terminata la visita nella prima sala, sono invitato a procedere nella seconda dove, oltre ad uno spazio dedicato alla WNBA e agli italiani negli States, c’è quella che forse possiamo chiamare l’attrazione principale della mostra, il visore per la realtà virtuale che ti permette una visione a 360°.
I video visionabili sono due, entrambi in tema NBA Finals 2016, la mia scelta ricade sul video di gara 5 e una volta indossata la maschera mi rendo conto di essere stato catapultato nel futuro.
Vedere Lebron James schiacciare come se fossi in prima fila, Kyrie ed i tiri impossibili presi durante la partita, ma anche vedere le persone intorno a me ed avere l’impressione di poterci dialogare, è davvero una sensazione molto atipica, è per molti aspetti davvero come essere al palazzetto.
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Una volta terminata l’esperienza riprendo a parlare con Francesco e la mia ingenua domanda è quella che ogni persona probabilmente vorrebbe fare: Quando potremo vedere le partite in diretta in questa modalità?
Mi dice che la NBA sta valutando pro e contro della sua attuazione e sta pensando come ottimizzare al meglio la realtà virtuale.
La paura potrebbe essere quella di scoraggiare la gente ad andare allo stadio, se si ha la possibilità di averlo sul proprio divano.
Va comunque detto che l’esperienza non è proprio la stessa e che, per chi non può permettersi un biglietto per le NBA Finals o, per chi come noi ha un oceano a separarci dai teatri dei sogni, avere la possibilità di vivere quest’esperienza sarebbe comunque un’esperienza notevole.
Questa volta ho l’impressione che ci convenga fare gli Embiid e ricollegare il tutto al classico #TrustTheProcess, diventata quasi una filosofia di vita, anche perché se dovessi pensarci non dormirei la notte, aspettando di potermi guardare le partite nel mio stadio virtuale invece che sul mio tablet con il vetro crepato.
Per concludere Francesco si rivela ambizioso, convinto che questo tipo di mostra possa avere un importante futuro, infatti sta lavorando affinché la NBA digital exhibition diventi una mostra itinerante per raggiungere le città più importanti d’Europa.
Nel complesso l’esposizione merita il premio di MIP, per il miglioramento radicale e il nobile scopo con la quale è stata ideata quello di istruire e gettare le basi per una cultura sul basket americano che è ciò che nel nostro piccolo proviamo a fare anche noi.

Lorenzo Bonacina

Lorenzo Bonacina

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