Apriti cielo. La sconfitta contro i Los Angeles Lakers ha sollevato il coperchio e dal calderone del web è uscito di tutto. “I Warriors fanno schifo“, “Durant sta già pensando ad una nuova squadra” e “Curry sbaglia anche a buttare la pallina di carta nel cestino“. Una situazione ampiamente prevedibile, vista la dicotomia che si è venuta a creare intorno a questa squadra (“La amo” vs “La odio”).
A dire il vero, contro i Los Angeles Lakers la squadra di Steve Kerr ha giocato troppo male per essere quella vera. Ma in ogni caso la sconfitta ha offerto qualche spunto su cosa al momento non funziona e su cosa serva lavorare maggiormente per riuscire a rivedere quella macchina schiacciasassi della scorsa stagione.
Per capirlo al meglio Steve Kerr ha la soluzione a portata di mano: leggere il capolavoro Sun Tzu “L’arte della guerra”, un libro di guerrieri (guarda caso…) contenente tutte le soluzioni ai problemi di Golden State.
“Nell’operazione militare vittoriosa prima ci si assicura la vittoria e poi si dà battaglia. Nell’operazione militare destinata alla sconfitta prima si dà battaglia e poi si cerca la vittoria.”
Fino a qualche mese fa si parlava di creare una linea da 4 punti, perché Stephen Curry e Klay Thompson stavano segnando da ogni angolo del campo. Adesso la musica sembra cambiata. Contro i Los Angeles Lakers la coppia si è presa ben 20 tiri da tre, realizzandone appena 2. Se gli Splash Brothers avessero anche solo parzialmente rispettato la loro fama e avessero realizzato (diciamo) 9 tentativi su 20, i Warriors avrebbero vinto. Certo, il ragionamento può apparire un po’ forzato, ma il senso è che a Golden State quello che sta mancando in questo momento non sono le occasioni offensive, ma la precisione al tiro.
Ad oggi, dopo sei partite, i Warriors stanno tirando con il 29.8% da tre, mentre l’anno scorso erano i migliori della lega con un pazzesco 41.6%. Nelle due sconfitte, addirittura, i Warriors hanno segnato appena 12 su 65 tentativi dietro l’arco.
Il gioco dalla distanza quindi rimane ancora la chiave di questa squadra, nel bene (vedi la partita contro Oklahoma) e nel male (vedi l’ultimo match contro i Los Angeles Lakers).
“Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere.”
“Ad oggi i tiri liberi sono il problema più grande che abbiamo”. Parola di Steve Kerr. Per una squadra di tiratori eccezionali, i tiri liberi sono una sorta di scherzo, punti facili che alla lunga pesano nelle dinamiche di una partita. Ma questi Golden State sembrano non trovare l’occasione di presentarsi sulla linea della carità.
Addirittura Steve Kerr a inizio stagione aveva chiesto a Klay Thompson di migliorare la sua media di 2.8 tiri liberi a partita. Il risultato finora? Thompson ha tirato 1.8 tiri liberi a partita, e addirittura nelle due gare che ha perso Golden State lui non è mai andato sulla linea del tiro libero.
Questo discorso si riallaccia a quanto appena detto sui tiri da tre: la squadra fatica, ad eccezione di Durant, ad attaccare il ferro e prendersi dei falli che garantirebbero comodi tiri liberi.
“Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un coniglio.”
Senza Leandro Barbosa, Marreese Speights e Festus Ezili la panchina ha perso diversi elementi. Se paragoniamo i punti fatti dalla panchina dei Warriors con quella dei suoi avversari, solo una volta quest’anno è arrivato un contributo consistente, contro Portland grazie alla grande prova di Ian Clark.
PARTITA | PUNTEGGIO DELLE PANCHINE |
Vs San Antonio Spurs | 54-16 Spurs |
Vs New Orleans Pelicans | 39-23 Pelicans |
Vs Phoenix Suns | 29-17 Suns |
Vs Portland Trail Blazers | 54-39 Warriors |
Vs Oklahoma City Thunder | 29-27 Thunder |
Vs Los Angeles Lakers | 61-31 Lakers |
Al momento Golden State sta ancora aspettando il ritorno di Patrick McCaw dall’infortunio. Il rookie si era ottimamente distinto durante la preseason, ma in sua assenza sembrano mancare alternative e, quando Curry e soci incappano in una giornata no, per Golden State è praticamente inutile sperare in un contributo dalla panchina.
“La strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile.”
La presenza di Livingston in campo era stata uno dei principali fattori nelle prime partite vinte durante le Finals dello scorso anno contro i Cleveland Cavaliers. Il suo contributo dalla panchina è fondamentale e infatti i suoi punti garantivano un’ottima alternativa nelle rotazioni di Golden State. Quest’anno l’equilibrio sembra essersi spezzato.
Il plus/minus dei quintetti con e senza Livingston cambia e di molto. Quando lui è in campo la squadra registra un +/- di -7.9, mentre quando è fuori si passa a +7.6. L’altro grande uomo in uscita dalla panchina, Andre Iguodala, ha un trend completamente opposto: +13.1 quando è in campo, -10,6 quando è fuori.
Ancora più emblematica è la considerazione del defensive rating (il numero di punti concessi ogni 100 possessi): Livingston è 110.7, Iguodala 97.0. Prendendo in considerazione la famosa Death Lineup, il plus/minus del “super-quintetto” è di +2,0, ma basta sostituire Stephen Curry con Shaun Livingston per crollare a -5.0.
Quintetto | Plus/minus |
Curry,Stephen – Durant,Kevin – Green,Draymond – Pachulia,Zaza – Thompson, Klay | +0.3 |
Curry,Stephen – Durant,Kevin – Green,Draymond – Iguodala,Andre – Thompson,Klay | +2.0 |
Curry,Stephen – Green,Draymond – Livingston,Shaun – Looney,Kevon – Thompson,Klay | 0.0 |
Durant,Kevin – Green,Draymond – Iguodala,Andre – Livingston,Shaun – Thompson,Klay | -5.0 |
“Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.”
Chi si ricorda cosa è successo una lontana serata del 2012? I Golden State Warriors avevano appena sacrificato l’idolo locale e leader dello spogliatoio Monta Ellis. Dallo scambio era arrivato Andrew Bogut, prima scelta al draft 2005, tra le perplessità generali. I tifosi approfittarono della cerimonia del ritiro della maglia di Chris Mullin per contestare apertamente e clamorosamente la dirigenza.
La storia darà clamorosamente ragione al proprietario Joe Lacob, che con Andrew Bogut si era assicurato quel rim protector necessario per difendere sotto canestro e permettere il gioco perimetrale di Steve Kerr. Quest’estate, con l’arrivo di Kevin Durant, non c’era più spazio per l’australiano che ha scelto così di cercare fortuna in Texas a Dallas insieme al compagno Harrison Barnes. Insieme a Kevin Durant nella Baia è arrivato il georgiano Zaza Pachulia, reduce da una buona stagione proprio con i Mavs. Tuttavia il lungo non è un difensore del livello di Bogut e infatti la difesa dei nuovi Warriors sta concedendo troppi rimbalzi offensivi. Golden State ad oggi è al penultimo posto per rimbalzi difensivi (davanti solamente ai New York Knicks) con il 72%.
Questo durante una partita permette agli avversari un sacco di seconde opportunità per segnare. Non deve sorprendere quindi se i punti ottenuti dopo un rimbalzo offensivo per gli avversari dei Warriors sono ben 15.8, dato che relega la squadra di Steve Kerr al venticinquesimo posto nella lega in questa particolare graduatoria.
Contro Golden State poi le chiavi di gioco si erano già iniziate a capire nello scorso anno durante i playoffs con i Thunder e i Cavaliers. Curry è, in linea di principio, il peggiore dei cinque in campo a difendere (per lo meno nell’uno contro uno) e per questo è richiesto un aiuto da parte dei compagni che devono farsi trovare pronti a raddoppiare. Steve Kerr nella gara contro Oklahoma si era ben guardato dall’affidare la marcatura di Russell Westbrook all’MVP, preferendogli Thompson e deviando Curry su Robertson (il peggior attaccante di Oklahoma).
Gli avversari dei Warriors conoscono bene questa situazione e per questo motivo sono portati a giocare un sacco di situazioni pick ‘n roll cercando di mettere sotto pressione i due lunghi costretti ad aiutare Curry. Nelle ultime partite (in particolare contro i Thunder) è stato lampante il nuovo compito di Draymond Green, il quale era nel pitturato senza una marcatura fissa, ma pronto a spostarsi per andare in aiuto sul lato forte o raddoppiando sul portatore.
Con i Los Angeles Lakers questo schema è saltato col tritolo grazie a Luke Walton, il quale conosce benissimo il sistema Warriors grazie al suo passato da vice-assistente. Non è stato quindi un caso aver visto una squadra molto veloce (Golden State è al venticinquesimo posto per opponent fast points), tanti extra pass nel pitturato (con Green che spesso saltava a vuoto) e tagli tra le linee che mettevano in difficoltà la difesa dei Warriors con mismatch o situazioni di inferiorità in seguito a dei blocchi.
“I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere.”
E quindi? Abbiamo assistito al più grande bluff della storia? Questi Golden State Warriors sono solamente un’accozzaglia di nomi poco funzionali per giocare insieme? Calma. Prima di saltare a conclusioni troppo azzardate (e assurde) serve guardare con razionalità la situazione.
C’è qualcuno che pensa che questa squadra non possa chiudere tra le prime tre a Ovest? Chi ha detto che questa franchigia doveva chiudere l’anno con un record di 82-0? Ovviamente nessuno.
Prendendo in considerazione i superteam degli anni passati, i risultati sono questi:
- Miami Heat 2010-2011: 4-2. Siamo al primo anno dei big three, Wade-LeBron-Bosh. L’esordio in casa dei Boston Celtics non è dei più fortunati: 88-80 e ritorno a South Beach a orecchie basse. Dopo quella sconfitta arrivano quattro vittorie consecutive prima di perdere nuovamente 96-93 in casa dei New Orleans Hornets. Qualcosa di simile a quest’anno a San Francisco, no?
- Boston Celtics 2007-2008: 6-0. L’arrivo di Kevin Garnett e Ray Allen, sbarcati a Boston per affiancare la star Paul Pierce, rilancia prepotentemente durante l’estate le ambizioni della squadra del Massacchussets, che infatti parte fortissimo vincendo le prime otto gare stagionali. A fine anno arriva anche il titolo contro i Los Angeles Lakers in sei epiche gare.
- Los Angeles Lakers 2012-2013: 2-4. Prendi Steve Nash e affiancalo a Pau Gasol, Dwight Howard e Kobe Bryant. Dinastia in arrivo? Manco per sbaglio. Un inizio tremendo di sole due vittorie è il preludio a una stagione terribile. Tra infortuni, faide interne e lacune tattiche, questa squadra non riesce ad andare oltre le 45 vittorie stagionali e l’eliminazione al primo turno contro i San Antonio Spurs con un secco 4-0.
- Los Angeles Lakers 2003-2004: 5-1. Karl Malone, Shaquille O’Neal, Gary Payton e Kobe Bryant. Che facciamo, la seguiamo comunque una stagione con una squadra di questo genere? Si, perché nonostante il grande inizio con una sola sconfitta nelle prime sei gare arriva la caduta, in finale, contro i Detroit Pistons di uno splendido Rasheed Wallace.
Ecco allora come negli ultimi sedici anni, i più famosi “superteam”, ad eccezione dei Boston Celtics, non hanno mai vinto il titolo il primo anno che erano stati assemblati. Pensare all’equazione “Fuori Barnes, dentro Durant=titolo scontato” è semplicemente sbagliato. Certo, Golden State rimane la grande favorita, ma Steve Kerr dovrà nuovamente trovare la giusta soluzione per riuscire a far giocare insieme tutti i giocatori che ha a disposizione. Intanto però le gare passano, e gli haters aspettano la nuova caduta.