Il posto di Sheldon Cooper((Un protagonista della serie Tv “The Big Bang Theory”)), sul lato destro del divano, è talmente consumato che riporta il solco delle sue chiappe. Per quanto sia solo uno dei tanti comportamenti ossessivi compulsivi con cui tormenta il suo coinquilino e i soci nerd, poche altre immagini rappresentano così bene il concetto di comfort zone.
Quella di Carmelo Anthony in maglia Team USA si avvicina parecchio. Quando indossa il numero 15 ha proprio l’aria di chi si è appena cambiato vestendo abiti decisamente più comodi. In agosto, dopo il terzo oro olimpico conquistato ai Giochi di Rio, ha annunciato la sua uscita dal programma, curandosi prima di fare il pieno di record. Con i 293 punti totali realizzati e le 26 presenze consecutive alle manifestazioni olimpiche ha superato qualsiasi altro giocatore della nazionale americana in termini di produzione offensiva e di costanza.
Nemmeno Michael Jordan (256 punti) e Lebron James (273) hanno saputo fare di meglio. La sua fedeltà al programma di Colangelo avviato dopo la catastrofica spedizione di Atene, è rimasta inalterata nel corso di questi 12 anni anche perché si è sempre sentito nel posto giusto.
Anche lo stesso Colangelo, in una recente intervista al Washington Post, si è mostrato stupito del livello di commitment((Impegno profuso sul campo)) di Melo:
“Parte della mia strategia consisteva nel prendere uno per uno i giocatori e guardare dritto nei loro occhi: ‘vogliamo fare qualcosa di molto speciale, se vuoi farne parte ti prometto che sarà una delle esperienze più memorabili della tua vita. Ma se vuoi farne parte, devi attenerti a A, B, C e D in termini di impegno.’ Quando Melo è stato selezionato per la squadra dei Mondiali 2006, fu il primo a cui feci questo discorso e ora è l’ultimo a ritirarsi. E’ ironico, ma anche qualcosa di eccezionale“
Con la NBA il rapporto è stato più burrascoso. La percezione di Melo negli ultimi anni è stata fortemente ridimensionata da discorsi da bar quali: “Ai Knicks ingloba ogni possesso, sa solo giocare iso((Isolamenti)), non sarà mai davvero utile a una squadra NBA per vincere”. Sentirsi ripetere questo fino alla nausea e vedersi più volte al centro di trade-rumors mette tonnellate di pressione.
Nelle partite internazionali Melo gioca nettamente meglio e non è una condizione legata soltanto ad un ambiente privo di stressors. In realtà il motivo per cui si sente a suo agio è quasi esclusivamente tecnico.
HABITAT NATURALE
Il basket FIBA si cuce perfettamente sulle sue caratteristiche di gioco, a patto che i compagni lo accendano in modalità spot-up shooter((Tiro piazzato, piedi per terra)). Una volta che fa “click” nei tiri piazzati, spegnerlo diventa più complesso che risolvere un cubo di Rubik (per contenere Melo non esistono tutorial).
La linea del tiro da tre è più vicina al ferro di 48 cm rispetto a quella NBA. E tirare appena dietro la linea FIBA, vuol dire tirare un long-two in NBA. Zona in cui Melo ha più che rispettabili percentuali oltreoceano. Aggiungi la prevalenza di difesa a zona che le altre nazionali sono solite schierare contro la fisicità degli americani e per Melo basta appostarsi in angolo, far flottare la difesa che sarà inevitabilmente sbilanciata rispetto al lato debole in cui si trova, aspettare il ribaltamento e tirare.

Melo è quasi sempre stato la 3° o 4° opzione offensiva di Team USA, quindi, come ha fatto a diventare uno degli scorer più efficienti della nazionale?
Quando sono in campo Lebron James, Kobe Bryant o Kevin Durant, il primo mandato dell’allenatore sarà quello di limitare questi tre. A quel punto, negare ricezioni pulite a Melo diventa un compito quasi impossibile. Vicino a catalizzatori di raddoppi come possono essere i sopracitati, Melo si trasforma in un’arma letale. Se non è tenuto ad essere la prima opzione offensiva, fa molto di più, muovendosi molto di meno.

A Rio è diventato completamente “ingiocabile” quando veniva spostato da 4 ( se non addirittura da 5 nel quintetto piccolo) Il match up lo vedeva contro difensori più grossi e lenti. Un esempio perfetto è la partita contro l’Australia: invece di essere accoppiato a Joe Ingles sul perimetro, l’uomo di Melo era a turno uno tra Baynes e Bogut. Nessun big man tradizionale può avere mezza speranza di tenere Carmelo sulla linea dei tre punti. In quelle situazioni Melo aveva spazio per alzarsi e tirare, altrimetni il centro australiano gli stava troppo attaccato, così da farsi battere dal palleggio.
QUESTIONE ISO
La natura del roster di Team USA cambia il modo in cui Melo influenza una partita. In uno-contro-uno, ha sempre avuto almeno due compagni mezza spanna superiori a lui. Quell’altissimo volume di isolamenti presi ai Knicks (nell’ultima stagione, il 23.7% del suo attacco proveniva da questa situazione di gioco) è più equamente distribuito su giocatori altrettanto pericolosi in attacco. ( ai giochi di Londra si isolava solo il 10% delle volte, segnando 1.2 punti per possesso).
La cosa spaventosa è che in NBA, il miglior compagno di squadra che Melo abbia mai avuto nel sapersi creare un tiro da solo ed essere una valida minaccia al ferro, è J.R. Smith. Quello di cui ha bisogno per essere una macchina di canestri funzionale, non è necessariamente un giocatore del calibro di Durant o LeBron James, ma uno che sostituisca i vari Raymond Felton, Shane Larkin, Jason Smith e Aaron Afflalo di questo mondo.
Con l’arrivo di Derrick Rose e Brandon Jennings si cominciano a vedere un ottimo portatore di palla primario e un ottimo scorer e sesto uomo. Il genio passatore di Noah potrebbe rivelarsi una sponda ideale per assistirlo nei tempi giusti. Senza contare l’opzione lettone((Kristaps Porzingis)), che continuerà ad attirare l’attenzione delle difese sui pick and pop.
I difensori rispetteranno di più i suoi compagni in attacco e Melo si troverà a giocare spesso dal pinch post((Scarico del giocatore in post su lato debole, clicca per video)), per costruirsi un tiro sui blocchi. Potrà essere usato di più anche come iniziatore del pick and roll( situazione esplorata solo 218 volte la scorsa stagione). Hornacek tenterà di mischiare la triangle-post-offense ad alcuni aspetti del sistema dei Suns, spingendo il pace((ritmo)), ma senza che i Knicks vivano costantemente in transizione. Quello che mette nella migliore posizione possibile Melo è riuscire ad attaccare sui close-out ed è proprio ciò che Hornacek faceva ai Suns, forzando le difese a ruotare e sbilanciarsi, facendole uscire in aiuto.
Un’ altra condizione che lo rende più efficiente è attaccare prima. Nelle ultime tre stagioni, Anthony ha tirato con il 42.1% da 3 nei primi 6 secondi dell’azione, un incremento pazzesco rispetto al 34.9% che ha sempre da dietro l’arco, ma nelle altre situazioni.
Questi numeri fanno capire perché Hornacek abbia già parlato con Melo della necessità di correre il campo (l’anno scorso I Knicks hanno registrato solo 8 punti a partita con azioni in transizione) in maniera più consistente, per generare molti più tiri aperti prima che la difesa si sistemi e per migliorare quello che la scorsa stagione è stato il 24° attacco NBA.
L’EFFETTO OLIMPIADI
Come una botta di endorfine, nei primi due mesi di NBA che seguono un’avventura alle olimpiadi, Melo subisce un influsso benefico totale, arrivando a tirare col 40% da tre, mentre si attesa al 32% negli altri inizi di stagione. A novembre e a dicembre del 2012 è arrivato a tirare con il 43% da dietro l’arco, un upgrade sensazionale (probabilmente una delle ragioni per cui quell’anno i Knicks cominciarono con il miglior record NBA)
Ma non si tratta solo di un effetto placebo, tornato da Pechino, ai Nuggets si è ritrovato come compagno di squadra un Billups a fine carriera, ma ugualmente dannoso se innestato in situazioni di pick and roll, con cui ha raccolto 54 vittorie in regular season. Nel 2012 invece, ha giocato con un’altra point guard sul viale del tramonto, ma fresca di titolo: Jason Kidd. Insieme a un JR Smith sesto uomo dell’anno, hanno portato New York a vincere 52 vittorie, cosa che non accadeva dal 1996.
Alla fine si ritorna sempre lì: meno devo gestire o trattare il pallone, più performa. Ed è vicino a giocatori di talento con palla in mano che il suo potenziale offensivo davvero non avrebbe confini. Parlare di secondo violino è riduttivo, perché in tutte le squadre a parte Cleveland e Golden State, rimarrebbe l’attaccante più forte (e cercato). Si tratta solo di preservare la sua comfort zone e fare in modo che tutti gli interessi della difesa non convergano su di lui.
In fondo, anche la scelta del posto di Sheldon è più tattica che di comodità.