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Il Mondo Nelle Mani Di Jabari Parker

Sebastián Matías Camponovo by Sebastián Matías Camponovo
6 Settembre, 2019
Reading Time: 7 mins read
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È il 15 dicembre del 2014 quando Jabari Parker, ormai lanciato verso una solida campagna di conquista per il premio di Rookie of The Year, si assicura un anonimo rimbalzo difensivo e decide di voler segnare. In quattro, rapidi, palleggi si ritrova dall’altra parte del campo, pronto a iniziare il movimento di avvicinamento al canestro: sposta il pallone oltre il volto dell’avversario, pianta il piede sinistro poco prima della linea del tiro libero e slancia la gamba destra in una pallida imitazione di un eurostep che viene interrotta dall’innaturale flessione del ginocchio mancino il quale si abbassa fino al livello della caviglia.
Le sue 250 lbs crollano, incontrollate, su PJ Tucker e gli arbitri fischiano immediatamente un fallo in attacco. Le brutte notizie per la serata non terminano qua.
Immediatamente si accorge che qualcosa non va, non vuole essere toccato da nessun compagno ed è costretto ad abbandonare il campo con l’aiuto dei medici, il referto è tanto rapido quanto difficile da digerire: torn ACL,((infortunio al legamento crociato anteriore del ginocchio)) il sogno della prima stagione NBA termina con esso.

 

“Chicago it’s the reason why I’m the person that I’m now.”

Joseph Smith, fondatore della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, raccontava di aver incontrato le due figure fondamentali della Trinità e di aver ricevuto da una di esse un compito da perseguire nel corso della vita: “Questo è il mio beneamato figliolo. Ascoltalo!”, è probabile che gli stessi dei del basket abbiano pronunciato qualcosa di simile alla nascita di Jabari, anch’egli mormone, figlio di Sonny (ex-giocatore NBA) e Lola Parker, un’emigrata della Polinesia dalla quale ha ereditato la fede.

 

Nel periodo della sua infanzia gli è strettamente proibito avvicinarsi ai playground delle strade di Chicago -troppi i pericoli che le strade della Windy City possono offrire-  ed ha un unico campo dove può giocare, quello che si trova dentro la chiesa che frequenta, in pieno stile mormone. In poco tempo riesce ad ottenere le chiavi dell’edificio e con il fratello disputa- a volte anche finoa sera inoltrata- così tante partite che ne perde il conto.

 

Gli Stati Uniti contano circa 6.2 milioni di fedeli della Chiesa LDS((Church of Jesus Christ of Latter-day Saints ovvero la chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni)) , solamente il 3% di essi è di etnia afro-americana ed ancora meno si presentano al primo anno di liceo alti 1.93, Parker è l’eccezione.
La scuola che sceglie è la Simeon Career Academy HS((High School)), la “Kentucky” del basket cittadino di Chicago, capace nel corso degli anni di fornire istruzione a Derrick Rose ed alla vera leggenda cittadina Ben Wilson, morto mentre era considerato il miglior liceale d’america. Durante i suoi quattro anni di High School si impone di svegliarsi tre volte alla settimana alle 5:30 per andare in chiesa a pregare, accompagnato dal suo zainetto riempito con un I-pod pieno di musica Rap e con Il libro dei Mormoni, prima che apra la palestra della scuola.
Spesso prima delle partite, deve ridurre il suo riscaldamento rispetto a quello dei suoi compagni per passare i canonici 20 minuti negli spogliatoi cercando un legame con Dio ma nonostante ciò, sul campo è sempre il più pronto. Conduce la squadra al titolo statale come freshman, sophomore , junior e nell’estate che precede l’ultimo anno di scuola è sulla copertina della miglior rivista sportiva statunitense accompagnato dal pretenzioso titolo di “Il miglior liceale dai tempi di LeBron James è…”

 

sports-illustrated-jabari-cover-v2

…ma c’è qualcosa di più importante del suo futuro NBA: la sua fede.

 

Prima dell’inizio del suo ultimo anno scolastico subisce una frattura alla parte anteriore del piede destro e, per la prima volta della sua vita, è costretto a sudare lontano dal parquet.
Per velocizzare il ritorno in campo corre, mentre gli altri dormono, per le strade che gli erano state proibite da bambino e, dopo aver annunciato il suo futuro collegiale, torna a giocare guidando la scuola al quarto titolo statale consecutivo, il massimo che si possa chiedere al periodo sportivo dell’High School. È una stagione che si conclude con un trionfo sportivo ma nel frattempo è scivolato alla seconda posizione nella maggior parte dei ranking nazionali dietro ad un’ala piccola canadese: Andrew Wiggins.

 

Duello.
Dal momento in cui Parker e Wiggins mettono piede nei rispettivi atenei -Duke e Kansas- sono i volti  di quella che viene immediatamente classificata come “la miglior classe draft dai tempi del 2003” ed entrambi sono consapevoli che l’annata non sarà che una lunghissima volata per arrivare primi al traguardo della lotteria.
Sul campo Wiggins vince il primo duello  -all’epoca Embiid non era che una appariscente comparsa- annullando Parker nei momenti decisivi della partita (anche se terminerà con cinque punti in meno) ed imprimendo il suo ritmo nel secondo tempo dell’incontro.

 

https://www.youtube.com/watch?v=KRf49QkJvfk

A [2:08] si stufa di difendere, anticipa l’entry pass, corre in transizione e fa quello che fa. Tempo netto: 5s.
A [4:49] Parker è costretto al fallo in transizione su Wiggins. Il quinto.
Deve uscire dal campo e consegna indirettamente  la vittoria a Kansas ed al canadese.

 

Wiggins è il prototipo dell’atleta perfetto, figlio di un ex-atleta NBA ed una medaglia olimpica, misura 203 cm per 90 kg, ed a quattordici (!) anni si divertiva a spaccare i tabelloni del Canada schiacciando. Ha un primo passo istantaneo ed ha già brevettato una spin-move con la quale è capace di teletrasportarsi al ferro nell’arco di mezzo secondo. Rimangono dubbi sul suo sviluppo tecnico ma è un diamante grezzo di assoluto valore.

 

 

Dall’altro lato del ring Jabari Parker ha misure simili al canadese ma non la stessa facilità di movimento. Nonostante ciò è comunque efficientissimo in transizione, grazie ad una varietà di ritmi la cui diversità è seconda solamente al repertorio di footwork. Al tutto aggiunge un’ incredibile maturità nelle scelte che lo rendono il prospetto più ready del draft. È ottimo in post e nonostante le misure riesce ad essere pericoloso sia come tiratore che partendo in palleggio. Il suo gioco è già rifinito, non completamente scolastico come ricorda il leggero movimento a catapulta che compie portando il pallone sopra la testa, ma estremamente elegante ed efficiente.

 

 

Un unico accenno di hitch, quasi impercettibile, per ricordarsi le origini di un amore per il basket nato in una Chiesa priva di coach e regole.

 

Al termine della stagione tutti e due vengono eliminati dal Torneo((La March Madness, il Torneo NCAA che si svolge durante tre weekend a cavallo fra Marzo e Aprile)) dopo prestazioni individuali deludenti ma a Parker va la minima consolazione del premio come miglior freshman della nazione. Per entrambi la rapida avventura del college è già arrivata al termine e lo sguardo si volge verso la NBA. Davanti a quello di Jabari, però, sorge una montagna: al compimento dei diciannove anni i fedeli mormoni sono solitamente tenuti a 2 anni di missioni di evangelizzazione, una pratica grazie alla quale lo stesso bis-nonno del giocatore si era convertito cento anni prima, sull’isola di Tonga. Ma sono gli stessi leader della Chiesa mormona a togliere d’impiccio il giocatore, invitandolo a raggiungere milioni di persone grazie ai suoi talenti cestistici e togliendolo dalla bizzarra impasse che si era venuta a creare a pochi giorni dal draft.

Home Hero. (±)

In un paese dove il concetto di “distanza fra città” è estremamente dilatato rispetto al  resto del mondo, i 90 minuti di macchina che separano Milwaukee e Chicago, rendono quasi una la regione suburbana dell’altra.

La chiamata dei Bucks – dopo che Cleveland avevano sancito la “seconda vittoria” di Wiggins- è praticamente una territorial pick dal sapore di anni ’60: Jabari Parker from Duke University.
Parker si prospetta come la rivoluzione offensiva per una franchigia che nei precedenti draft era riuscita a collezionare atleti come Sanders, Henson ed Antetokounmpo. Dal primo giorno viene investito dei gradi di franchise player e nel corso delle prime partite si mostra capace di poter reggere la pressione. Nel primo periodo della stagione sfrutta la partenza ad handicap di Wiggins e la particolare situazione di Embiid per distaccarsi nella corsa al premio di Rookie of the Year ma, mentre i Bucks continueranno la loro cavalcata verso la post-season, il sogno di Jabari si interrompe con un infortunio.

https://www.youtube.com/watch?v=VUvJlppM8J4

Per un malato di spot questi 73 secondi sono poesia. Musica meravigliosa e l’idea delle difficoltà che si incontrano nel ritornare ciò che si era prima dell’infortunio.
Catchphrase e promessa di diventare grande.
Masterpiece.

 

 

I’m back.

Dopo undici mesi di sudore, viaggi in Perù ed una dieta ricca di proteine è pronto a tornare ponendo fine ad un anno pieno di problemi e sofferenze condivise con il padre, costretto dalla salute ad un trapianto di rene. Vuole giocare per lasciarsi tutto alle spalle ed inseguire Andrew Wiggins, che nel frattempo ha inserito la quarta marcia, trovato la sua identità in NBA e conquistato il titolo di ROY.
Il ritorno di Jabari è complesso: il minutaggio è ridotto, non riesce a trovare situazioni in cui segnare con continuità ed in difesa è semplicemente incapace di imporsi nella lotta per il rimbalzo ed appare spesso confusionario se non addirittura spento.

 

L’ASG è il punto di snodo della stagione di Parker, dopo la trasferta in Canada per presenziare alla gara dei giovani ed al week-end di dominio di Zach LaVine ed Aaron Gordon, migliora in qualsiasi voce statistica, raddoppia la produzione di punti ed inizia a tirare -seppur male- da tre. Nel giro di nove giorni ritocca due volte il suo career-high e pone l’asta ai 36 punti che rifila ad Houston con un efficientissimo 16-25 dal campo. Con l’evoluzione del gioco dei Bucks diventa il partner preferito delle scorribande in transizione di Point-Giannis ed assume sempre più il ruolo di finalizzatore in un attacco, mediocre e non bello da vedere, assieme a quelle di leader, come riportato da Zach Lowe, assumendo posizioni dure nei confronti dei compagni meno ligi al dovere in allenamento.

 

Positionless (?)
All’alba della stagione 2016/17 sul prodotto Jabari Parker vige ancora un enorme punto interrogativo: in che posizione deve giocare? Dal punto di vista atletico è un saltatore sottovalutato -eccezionale con due piedi- ma non è rapido ed ha spesso problemi nella difesa del ferro e del P&R, dove appare troppo macchinoso e raramente capace di reagire nei tempi utili per rimediare agli errori dei compagni. Offensivamente è già buonissimo in transizione, solido nel gioco in post ed ha il pieno potenziale per diventare un tagliante d’élite ma l’attacco privo di spacing dei Bucks è un problema difficilmente superabile con i miglioramenti di un singolo giocatore.

Idealmente, dovrebbe diventare uno stretch-4 ed i  tentavi di estendere il suo range di azione intrapresi nella scorsa primavera sono incoraggianti ma ancora insufficienti, per una squadra che vive nel terrore di ritrovarsi le penetrazioni di qualsiasi giocatore chiuse da  un muro di quattro avversari; vista la totale assenza di tiratori affidabili venutasi a creare con l’infortunio di Khris Middleton.
Si tratta di un quesito ancora irrisolto che nella peggiore delle ipotesi potrebbe condizionare la carriera di un talento ancora incompleto ma terribilmente interessante nel modo di giocare e porsi al di fuori del campo, nel dubbio ricordatevi di seguirlo con maniacale attenzione perché la sua storia è lontana dalla fine.

Tags: bucksParker
Sebastián Matías Camponovo

Sebastián Matías Camponovo

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