Chi immagina di trovare persone assiepate in uno sport bar per una partita di stagione regolare della squadra di casa, probabilmente dovrebbe pensare a una meta diversa da Brooklyn. Sia chiaro: i pub che trasmettono la partita ci sono, gli appassionati pure, ma la situazione non è propriamente quella che si può trovare a Boston, Philadelphia o più semplicemente a Manhattan, sull’altra sponda dell’East River, per i Knicks.
Trovare un locale che trasmetta la partita è piuttosto semplice, ma trovarne uno popolato dai tifosi, a queste longitudini inizia a essere complicato. Così mi metto su internet a cercare i pub ufficiali, quelli che hanno un accordo con la franchigia e sono ritrovi abituali. Brooklyn ha tre milioni di abitanti, è il quartiere più popoloso della città di New York e dell’intero Stato, la lista di questi locali si ferma a dieci e uno di questi scopro che non ha mai riaperto dopo il lockdown del 2020, quindi sono nove.
Ne scelgo un paio in zona Barclays Center, che poi è pure la zona più centrale dell’intero borough. Da quando i Nets si sono trasferiti qua nel 2012 l’intera area ha vissuto una fase di sviluppo commerciale oltre a essere il punto di ritrovo per ogni manifestazione, protesta o festeggiamento.
Nei covi dei tifosi Nets
Il primo posto dove vado è Uncle Barry’s, un irish pub sulla 5th avenue di Park Slope. Posto molto carino e amichevole dove però le persone non sembrano filarsi troppo i due televisori collegati rispettivamente coi Nets e con Nba Tv. La serata non aiuta perché fuori nevica e Brooklyn è in trasferta a Salt Lake City è già sotto di 20 nel secondo quarto, mentre Harden non gioca per un dolore alla caviglia e durante la serata viene fuori con insistenza la voce di una possibile trade – smentita da Nash due giorni dopo in conferenza stampa – con i Sixers per scambiare l’ex mvp che sarebbe scontento del rendimento della squadra. Provo a parlare con qualcuno ma nessuno sembra davvero interessato alla partita. Si parla di Yankees, si gioca a freccette, si parla tanto di fatti propri.
Trovare un vero fan dei Nets in verità non è semplice. Soprattutto nei primi anni in cui la franchigia si è spostata al Barclays, con la squadra che si qualificava ai playoff, quello che mancava erano proprio i fan. Chi si aspettava che l’ambiente dentro l’arena fosse ostile, in stile Garden quando i Knicks giocano le partite che contano, rimaneva deluso. Qualcosa da allora è cambiato, ma la base dei Nets tuttora è piuttosto eterogenea. Alcuni sono i vecchi sostenitori della squadra già dai tempi del New Jersey. Tra quelli di vecchia data c’è Mr Whammy, al secolo Bruce Reznick, avvocato di Canarsie, zona sud di Brooklyn, che al netto della pandemia non si è perso una sola partita negli ultimi 23 anni ed è famoso per il suo “Miss. Miss. Miss. Miss” accompagnato dal gesto delle corna fatto a due mani quando gli avversari tirano i liberi. Lui ha iniziato a seguire i Nets alla Meadowlands Arena e poi ha goduto quando la squadra si è avvicinata a casa sua.
Ma come Mr Whammy non ce ne sono molti. Tutti gli altri sono per lo più dei convertiti dei Knicks, stanchi di James Dolan, e poi coloro che seguono le vicende delle star Nba o chi si appassiona solamente ai prodotti divertenti e (potenzialmente) vincenti. Quindi tantissime magliette vendute (più dei Knicks) e tanti abbonamenti a Yes, il network locale che permette di vedere tutte le partite, ma ancora poca passione a bordo campo.
Figli di un Dio minore a NY
Da quando i Nets si sono trasferiti hanno iniziato un lavoro dal basso con i giovani, sanno di dividersi il mercato con un competitor molto più potente come i Knicks, ma hanno puntato tutto su programmi di presenza nelle scuole e sul senso di appartenenza a quello che è il borough più culturalmente attivo e
vivace della città, puntando su personaggi di culto come Notorius BIG e Basquiat. Il dato di fatto però è che la nuova fanbase è ancora troppo giovane e troppo piccola per competere con quella di altre piazze, men che meno con quella dei Knicks. E pure la Brooklyn Brigade, che è il gruppo del tifo organizzato, sembra più una claque teatrale che qualcosa di genuino.
I Nets però hanno nel dna il loro ruolo di seconda squadra di New York. Non a caso si sono chiamati New York Nets per 10 stagioni e il loro nome è stato scelto per richiamare quello dei Mets (baseball) e dei Jets (football) oltre a un qualcosa che avesse un significato nel mondo del basket. Poi è stata la difficoltà nel trovare un impianto a New York a relegarli di là dall’Hudson -assieme al football e al calcio -, dove sono rimasti fino a dieci anni fa.
Durant fa discutere, Harden divide
Durante l’intervallo scelgo di cambiare pub e vado al Bleachers, su Flatbush avenue a 100 metri dal Barclays. Qui un DJ set rende davvero impossibile anche solo parlare con qualcuno, ma vedo che in fondo c’è una saletta dove si guarda davvero la partita. Qui ci sono cinque persone, una addirittura con il berretto
dei Knicks, ma questo particolare non interessa a nessuno. Ormai i Jazz hanno l’incontro in pugno e quindi l’attenzione sta scemando. Si parla soprattutto di Kevin Durant, per il quale non c’è ancora una data di rientro anche se le sue condizioni sono in costante miglioramento, e poi ancora di Joe Harris, che potrebbe aver bisogno di una seconda operazione alla caviglia sinistra prima di rientrare.
“Non gioca nemmeno Harden – dice Greg, quello con il berretto Knicks –. A causa di infortuni o altri fattori ai Nets in questo momento manca praticamente l’intero quintetto base. Nessuna squadra potrebbe vincere con continuità in queste condizioni”. Gli risponde Ryan che accusa invece il lavoro di Sean Marks fatto nelle ultime tre stagioni: “Queste cose accadono quando costruisci una squadra che non ha panchina e profondità dei cambi, oltre a zero attitudine difensiva. E’ tutto costruito intorno a star che non hanno la minima idea di cosa significhi difendere”. Intanto su Espn continua a essere alimentata l’indiscrezione di una trade per scambiare Harden coi Sixers. Per Greg non dovrebbe essere scambiato e spera che rimanga, a meno che non sia lui a volersene andare. Cody invece la vede come l’occasione giusta per allungare le rotazioni. Curry, Maxey e Simmons sono i suoi nomi. Su Simmons però le opinioni sono piuttosto discordanti visto l’atteggiamento avuto negli ultimi due anni. “Non è uno di quei giocatori sui cui puoi puntare per provare a vincere il titolo», dice Greg. Hesi invece spera che Harden sia scambiato subito per avere una contropartita tecnica: “I Nets hanno paura di perderlo nell’off season senza niente in cambio. Se non vinceremo nulla lui chiaramente se ne andrà”.
Pro e contro Irving
La discussione però si accende quando si parla di Irving, che a causa dell’obbligo vaccinale per giocare imposto dal Canada (niente partite a Toronto) e nella città di New York (niente Barclays e Garden) potrà giocare solamente 10 delle ultime 29 partite ed è l’unico dei Nets in questa situazione. “Se a Kyrie importasse davvero della squadra e della lotta per l’anello allora si vaccinerebbe. Dipende tutto da lui”, dice Greg. “Io invece rispetto in pieno la sua decisione – commenta Danny, grande tifoso dei Mets, come si capisce dalla sua maglietta -. La vita viene prima di tutto, anche della pallacanestro”. “Se la vita viene prima di tutto allora dovrebbe ritirarsi”, risponde Greg. “Forse sì, replica l’altro, ma l’obbligo di essere vaccinati non esiste nelle altre città”. A chiudere la discussione è Bruce Galin – ci tiene a far sapere il suo cognome -: “La colpa è tutta della città di New York e delle sue regole vecchie e folli che lo hanno isolato. E alla maggior parte di voi tutto questo sta bene”.
Nel frattempo Irving ha confermato che non ha intenzione di cambiare la sua scelta personale di non vaccinarsi aggiungendo però che rimane fiducioso nel fatto che il nuovo sindaco Eric Adams entro la fine di febbraio possa abolire l’obbligo di vaccinazione per praticare l’attività sportiva.