Chiamatelo Piano B. Che può stare per piano Bjorkgren, allenatore chiamato per dare un gioco sexy ai Pacers e che sinora ha portato più sconfitte che vittorie a Indiana. Ma che ora ha ritrovato la speranza. O che può anche stare per piano alternativo, dopo la partenza falsa. Una ripartenza.
La prova di forza di Indy a Miami, dove i Pacers hanno sculacciato gli Heat 137-110, è stata di quelle da stropicciarsi gli occhi. Tanto a poco. Esibendo un attacco scintillante e variegato, con la lucidità di Brogdon, la garra di McConnell, il tiro di McDermott e i movimenti old school sotto canestro di Sabonis. 137 punti segnati, il massimo stagionale di franchigia, tirando col 58%, mandando a bersaglio 20 triple. Esibendo una difesa finalmente decente, con le stoppate di Turner in versione spaventapasseri sotto canestro e linguaggio del corpo collettivo finalmente convincente, con TJ pestifero, fastidioso e invadente come le chiamate di un call center che ti vuole per forza vendere qualcosa.
Contro Miami nel campus di Walt Disney era crollato il Piano A dei Pacers, quello con al timone Coach McMillan, che tanto sta facendo bene ad Atlanta, adesso. I Pacers erano maledettamente solidi, ma senza il loro All-Star, Sabonis, indisponibile, e con Oladipo che aveva fatto più capricci di un bimbo a cui viene tolto il ciuccio, erano crollati 0-4 contro gli Heat al primo turno playoff nella bolla di Orlando.
Chissà che la (molto parziale) rivincita con Miami non sia un punto di partenza per il Piano B. Bjokrgren non stava nella pelle, post partita. Tanto da prendersi la confidenza di chiamarmi Riccardo, post gara, in risposta alla mia ennesima domanda, e giuro che non ci eravamo mai parlati prima, se non a poche ore dalla gara, in collegamento Zoom per The Shot, appunto.
Ma il nuovo allenatore dei Pacers era euforico. Dopo aver finalmente visto la sua creatura prendere forma, giocare la miglior partita della stagione. E forti dei ritrovati LeVert e Lamb, i Pacers sentono di poter svoltare. Al completo sono “da corsa”. Ma devono rincorrere, partiti 18-22 in stagione. Dove possono arrivare? Ce lo raccontano Bjorkgren, Brogdon, McDermott e McConnell, pazienti nell’assecondare le richieste e curiosità del cronista italiano ficcanaso dall’accento inglese esotico…
Attenuanti, non scuse
I Pacers avevano perso 15 delle ultime 21 partite giocate, prima della partita della redenzione alla American Airlines Arena di downtown Miami. Un disastro. Ma le circostanze non hanno aiutato Indiana. Hanno perso TJ Warren, realizzatore implacabile, dopo appena 4 partite stagionali per una frattura da stress al piede sinistro. La sua stagione potrebbe già essersi conclusa. È quantomeno lontano mesi da un possibile rientro, spiega l’ultimo sconsolante aggiornamento medico.
Hanno poi scambiato Oladipo con LeVert, un colpo clamoroso in assoluto, ma che in un primo momento si è tramutato in un boomerang. All’ex Nets durante le visite mediche è stato infatti diagnosticato un tumore ai reni. Subito operato. Ha saltato 26 partite, è appena rientrato, alla quarta uscita per i Pacers. Dipo ha limiti di gioco e caratteriali, ma rinunciare al suo apporto, parliamo comunque di un All-Star del recente passato, per nulla, beh, non è stato facile.
Inoltre Lamb è stato acciaccato, spesso e malvolentieri, e Indy si è ritrovata “corta” in attacco, con Brogdon chiamato a “fare troppo” e Sabonis, di nuovo selezionato per l’All-Star Game, per la seconda stagione di fila, a trasformarsi in improbabile ciambella di salvataggio. È bravo, bravissimo, ma non è Tim Duncan. E nemmeno papà Arvidas al suo meglio eh. Dunque i Pacers avevano tutte le ragioni per maledire il destino e squagliarsi come la neve dell’indiana al sole primaverile. E sembravano rischiare questa sorte…
A Miami la svolta. Almeno così dicono loro…
Ma la partita di Miami, potrebbe, chissà, aver cambiato tutto. Perché Indy ha mostrato schegge di futuro elettrizzanti. Il livello di gioco immaginato dalla dirigenza, dal presidente Pritchard e dal General Manager Buchanan. Ha indossato il vestito buono, quello riservato per i celebri party da mille e una notte di South Beach, lasciando perdere le infradito dozzinali messe su per troppo tempo, sinora. Contro la terza miglior difesa NBA per punti concessi, quella di Miami, dietro solo a Knicks e Lakers, i Pacers hanno segnato 99 punti in appena 36′ di gioco. Per capirci gli Heat ne concedono 107.5 per l’intera partita, di media…e soltanto dopo la ripassata subita da Indy che ha fatto precipitare i loro numeri.
Bjorkgren, anticipavo, non stava nella pelle: “Ci siamo passati la palla, sempre alla ricerca del compagno smarcato. Abbiamo giocato bene per tutti i 4 quarti, stavolta. Brogdon e McConnell hanno imposto il nostro (elevato) ritmo in attacco, e la comunicazione in difesa mi ha soddisfatto. LeVert? Sta già giocando a un livello più alto di quanto in tanti si sarebbero aspettati in questo momento. Questo dimostra il suo carattere, la sua durezza. Continuerà a migliorare“. Il capo allenatore primo anno, ex assistente dei Raptors, si lascia poi andare quando parla del pupillo McConnell, che per un Coach deve essere una manna dal Cielo, come atteggiamento. Dà sempre tutto, trascina: “Gioca con il fuoco dentro, per la franchigia. Ama la pallacanestro“. Forse il segreto è tutto qui. Hai detto niente…
Indiana contro Miami non aveva mai segnato così tanti punti, ogni epoca. Brogdon ha mosso la retina con 7 triple, addirittura. Il segreto? La presenza di LeVert. “Fa un’immensa differenza. Attrae tante attenzioni, posso prendermi tiri aperti sul perimetro. Lui ci permette di schierare un ulteriore realizzatore, di disporre di un playmaker che rende la gara più facile per tutti gli altri“. Serio, idee lucide e chiare, come in campo, il “Presidente” lancia comunque un monito: “Dobbiamo continuare a migliorare in difesa, guardando avanti“. Lui, scuola Coach Bennett a Virginia University, dove le partite si vincono nella propria metà campo, pretende ancora di più. Quello resta il punto debole endemico della squadra.
Ma se l’atteggiamento fosse sempre quello mostrato in Florida le cose cambierebbero. Si è visto sbattersi in marcatura persino McDermott… Il tiratore da Creighton University, gloria al college, in Nebraska, in tempi di March Madness è sembrato folgorato, micidiale non solo da 3 punti, ma a tutto campo. E racconta convinto: “È stata la nostra partita più completa della stagione, specie perché giocata contro una squadra forte come Miami. La classifica dell’Est è corta, dopo le prime tre posizioni, non dobbiamo pensare troppo al calendario, ma semmai giocare al nostro meglio. Nel caso, le cose poi si sistemeranno da sole. Ma sappiamo bene quanto appunto conti ogni partita, in questo periodo dell’anno“.
McConnell alla Edelman, pare un ricevitore di Brady
TJ McConnell è piccino piccino, per un atleta NBA. Te ne rendi conto persino in collegamento via portatile. Però è di quegli atleti che hanno saputo usare le limitazioni fisiche come motivazione. Per dimostrare al mondo, alla infinita schiera di critici “so tutto io” che uno come lui non solo in questa lega ci può giocare, ma può, udite, udite, persino spostare gli equilibri. Sembra uno dei ricevitori di Brady nel football, in NFL, uno pescato dal mazzo degli Edelman, Amendola, Welker, Miller. Nessuno se li fila(va), inchiodati da un’apparenza da comuni Mr Smith, e poi capaci a fine partita di farsi l’ultima risata. Feroci in campo, col senso d’urgenza di chi sa di dover dimostrare tutto ogni volta, di non poter vivere di rendita dei doni di madre natura.
Gli chiedo dove trovi lo stimolo, da milionario, per giocare con questo spirito ogni dannata notte. Lui risponde così: “La mia energia? Come mi motivo? Sono questo, fa parte del giocatore che sono. È il mio lavoro. Il coach mi ha chiesto due cose a inizio stagione: spingere il ritmo in attacco e essere distruttivo in difesa, ed è quello che provo a fare. I complimenti di Spoelstra? Li apprezzo, è uno dei migliori allenatori in circolazione. Io provo a vincere..”. Ci prova anche Indiana, con ritrovato entusiasmo. Occhio, che al completo se i Pacers cominciano a carburare…