Ottimismo e fiducia, aspettando il 2021
Da Zach LaVine a Garrett Temple, passando per Lauri Markkanen, Coby White e Wendell Carter Jr.: a Chicago sembra davvero soffiare un vento di speranza, ottimismo e fiducia. Ottimismo che ha il volto, anzi i volti, di Arturas Karnišovas e Billy Donovan: gli uomini a cui la famiglia Reinsdorf ha affidato l’onore (ma soprattutto l’onere visti i risultati delle ultime stagioni) di risollevare le sorti della franchigia. Ottimismo che nella Città del Vento, parlando dei Bulls, non si respirava da tempo e che contagia anche chi, come il sottoscritto, si trova a 7.528km di distanza. Eppure diciamoci la verità, questa atipica offseason non è stata elettrizzante come molti, sopratutto tra noi tifosi, si attendevano. Non è arrivata la tanto agognata superstar in grado di guidare i nostri baldi giovani di belle speranze e anche al Draft, la scelta di Patrick Williams, ennesimo progetto di giocatore a roster, è parsa come una scommessa, una presa per intendersi, che può tradursi in Kawhi Leonard ma anche in Malcolm Thomas.
Nonostante tutto però c’è ottimismo. E il motivo è molto semplice o almeno, lo è per noi tifosi Bulls. Per la prima volta da tanti, troppi anni, si percepisce unità d’intenti tra front office, coaching staff e giocatori. Senza dimenticare la proprietà, ovvero la famiglia Reinsdorf, che finalmente ha messo mano (pesantemente) al portafoglio e che finalmente ha deciso di affidare il comparto tecnico nelle mani di un dirigente, senza interferire. Iniziare una stagione con questo clima è senza dubbio un ottimo viatico e le premesse per fare bene, o comunque dignitosamente, ci sono tutte. Adesso la palla passa ai giocatori e soprattutto a coach Billy Donovan: il demiurgo che deve rendere squadra, un gruppo di ottimi giovani solisti.
Habemus Coach (finalmente)
Potevamo anche dire “Habemus Executive VP of Basketball Operations” ma come titolo non sarebbe stato un granché. E poi, non ce ne voglia Karnišovas, ma dopo 5 stagioni di autogestione con Hoiberg prima e Boylen poi, riavere un coach, un allenatore nel senso di uno che allena, è una boccata di ossigeno, a pieni polmoni. Per di più Donovan è un coach che ha vinto. Tanto, tantissimo al college, con i due titoli NCAA alla guida dei Florida Gators ma anche in NBA dove nei suoi 5 anni alla guida dei Thunder è sempre riuscito a qualificarsi per la post season.
Ma più del valore di Donovan è quello che rappresenta il suo ingaggio ad aver fatto felici tanti, se non tutti, i tifosi dei Bulls. Donovan infatti significa voglia di tornare ad essere rispettabili. Significa, come detto, che i Reinsdorf (che avrebbero confermato volentieri Boylen) si fidano di Karnišovas (che invece ha insistito per Donovan).
Significa soprattutto che il tempo degli esperimenti è finito.
A Chicago, soffia un nuovo vento. Un vento di cambiamento, di ottimismo e di speranza. A Billy Donovan il compito di indirizzarlo per gonfiare le vele dei Bulls e portare la nave di cui è diventato comandante, fuori dalla tempesta che dura da 3 anni verso orizzonti più luminosi.
Zach Lavine, aspirante leader
Conquistare la piazza e restituire orgoglio e speranza ai tifosi era onestamente la parte più facile. Il difficile, per l’ex coach di OKC, sarà trasformare alcune ottime individualità in squadra. Un lavoro che richiederà del tempo perché non abbiamo un Russell Westbrook o un Paul George, né tantomeno un Chris Paul. Insomma, non abbiamo un giocatore in grado di prendere per mano la squadra, nei momenti di difficoltà.
Abbiamo però chi sta studiando per diventarlo: Zach LaVine. Il prodotto da UCLA è reduce da una stagione statisticamente eccellente. Il chè, purtroppo, significa tutto e niente. Significa che ormai Zach è da annoverare nella lista dei migliori della NBA, uno in grado di segnare con continuità e in molteplici modi. Le statistiche però, per essere considerate veramente importanti, si devono tradurre in risultati e quindi in vittorie. E su questo punto c’è ancora tanto da lavorare. Non basta più essere un grande realizzatore. Donovan e i Bulls hanno bisogno di altro. Hanno bisogno che diventi un facilitatore, che sappia leggere meglio alcuni brani della partita e che inizi a difendere, magari non sempre ma un po’ più spesso di mai. Hanno bisogno che diventi un leader.
Le qualità per esserlo le ha tutte, adesso serve tradurle in risultati. Now or never, Zach.
AAA Lauri Markkanen cercasi (disperatamente)
Se aiutare LaVine a diventare leader sarà un compito duro per Donovan, far tornare Lauri Markkanen il giocatore ammirato per le prime due stagioni e possibilmente migliorarlo, lo sarà in egual misura. Il finlandese infatti è passato da piacevole sorpresa a giocatore anonimo nel giro di un anno solare. Qualche attenuante al biondo da Arizona la possiamo pure dare. come ad esempio gli infortuni (troppi) o la sciagurata gestione tattica di Boylen che lo ha limitato anzichè esaltarlo, ma alibi, quelli no. È (potenzialmente) troppo forte per darglieli. E i giocatori forti non li vogliono nemmeno.
Per il finnico è giunto il momento di capire cosa essere da grande: se un futuro All-Star (non pensiate sia un’esagerazione) o un eterno ed anonimo gregario. Gli stimoli non dovrebbero mancargli: da un nuovo coach che ha già dichiarato di vederlo in un ruolo centrale, alle trattative per il rinnovo del contratto. Ma il processo di crescita deve partire da lui. Il combinato esposto di altezza e mani è da far invidia a tutta la NBA ma, come nel caso di LaVine, è l’ora di portare il potenziale in campo.
Patrick Williams, l’esordiente
Detto della curiosità mista all’attesa nel capire se LaVine e Markkanen riusciranno a diventare i giocatori che front office, coaching staff e tifosi si attendono, l’altro elemento che tutti aspettiamo di vedere in campo è Patrick Williams. Il primo motivo è molto semplice: al college lo abbiamo visto molto poco. Vuoi per la stagione accorciata, vuoi per le rotazioni profondissime di Florida State, le occasioni per vedere la quarta scelta assoluta al Draft, non sono state molte. Il secondo motivo è legato proprio al numero della chiamata. Williams infatti è stato il giocatore che è migliorato maggiormente in relazione a tutte le proiezioni dei vari mock draft. Una crescita costante che non può lasciare indifferenti. Il terzo e ultimo motivo riguarda il fatto che nessuno, tra allenatori, giocatori (non solo compagni di squadra) e addetti ai lavori di vario titolo, ha speso una parola negativa nei suoi confronti. Solo complimenti.
Al netto delle frasi di circostanza è un segnale senza dubbio incoraggiante che ha tranquillizzato molti tifosi, compreso chi scrive, che ritenevano la sua scelta un grande azzardo. Di certo le belle parole non fanno un giocatore, ma sicuramente ci fanno guardare al ragazzo con ottimismo e fiducia (guarda caso). D’altronde con quel motore, se imparasse a fare un paio di cose…
In conclusione, cosa dobbiamo aspettarci?
Trade permettendo, (in queste ore si parla addirittura di un interesse per Harden, da prendere con le pinze) credo che l’obiettivo principale della stagione sia valutare questo gruppo e, come detto, cercare di far crescere più giocatori possibili. Un anno di transizione dunque, ponendo l’accento sul famoso player development tanto caro a Karnišovas, in attesa della free agency 2021. Se parliamo di obiettivi tangibili, ovvero di classifica, è verosimile immaginare i Bulls a ridosso della zona playoffs. Anzi, personalmente, qualora non riuscissimo a centrare l’accesso al play-in tournament lo considererei un fallimento. D’altra parte ad Est se escludiamo Heat, Bucks, Nets, Sixers, Celtics e Raptors, la situazione è molto fluida e le pretendenti agli ultimi due posti playoffs sono molte. Noi dobbiamo essere tra quelle pretendenti.
Solo in questo caso potremo dire che a Chicago (finalmente) soffia un vento nuovo.
Gherardo Dardanelli per Bulls Nation Italia