Hai 20 anni, un gran talento, la California impressa nel pedigree. UCLA, certo, perché non esiste “altro college all’infuori di te”. I Lakers che già gongolano, perché il tuo passaggio a una mano in transizione risplende come i “goggles” di James Worthy. Tutti ti dicono che in NBA farai bene, sfonderai, e i giallo-viola ti scelgono alla #2. Un percorso naturale. Lineare e naturale. Una maglia pesante, forse la più pesante. Ma è quello che voleva Lonzo, quello che voleva il padre, quello che volevano tutti.
Di pressione ce n’è già troppa, per uno che non ha ancora l’età legale per farsi una birra. Poi, un bel giorno, tuo papà decide (per marketing, per business, per cazzeggio, per quello che vi pare…) di dichiarare al mondo che sì, Magic…, certo Magic era bravino, ma mio figlio, Lonzo, sarà per Los Angeles qualcosa che non si era mai visto prima. Kareem, Kobe, Shaq, Wilt… chi? Cari Lakers, prendete anche LiAngelo e di anelli ne arriveranno a valanghe.
I riflettori iniziano a risplendere di una luce forte, che diventa sempre più forte, fino ad accecarti. Questo, più o meno, un po’ romanzato, è quello che è successo a Lonzo Ball al suo esordio nella NBA. Scendeva in campo, aveva difficoltà (normali), il padre diceva che era colpa degli altri. Dei Lakers, dell’allenatore, del sistema di gioco. Difficoltà per un giocatore certo di talento, ma con tantissimi aspetti su cui lavorare seriamente, senza distrazioni, con focus e tante ore di palestra.
Play di 1.98 con visione di gioco naturale, alimentata da altruismo e polpastrelli sensibili. Gran trattamento della sfera e capacità di attaccare il ferro dal palleggio dopo aver guidato il contropiede dalla corsia centrale. Difensore molto credibile sulla palla, per fisico, mobilità-laterale e voglia di stare dietro al proprio uomo. Tuttavia, tiro inesistente e meccanica poco ortodossa, con evidenti difficoltà a interpretare le situazioni di gioco a metà campo. Primo-passo lento nelle penetrazioni a difesa schierata e assenza totale di mid-range-game. Potenziale tanto. Difetti pure. Ultima cosa che ti serviva era un padre convinto di poter battere Michael Jordan in uno-contro-uno. No, caro Lonzo, questa proprio non ci voleva.
E, infatti, i primi due anni ai Lakers non sono stati di certo da incorniciare. I lampi ci sono stati, anche significativi. Non potevano mancare. Come la quasi tripla-doppia (29 punti, 11 rimbalzi e 9 assist) contro i Suns nell’anno da rookie o i 16 punti, 10 rimbalzi e 10 assist contro gli Hornets nel suo secondo anno.
Ma, al di là delle gare saltate per infortunio, la sensazione è che Ball fosse ben lungi da poter rappresentare il perno, la stella, la pietra angolare, su cui fondare una franchigia con speranze di gloria immediata. Il giocatore-guida di un team come i Lakers, reduci da anni non facili, ma con una patina d’oro troppo spessa per essere scalfita. L’arrivo di LeBron, poi, è stato un messaggio chiaro e amaro per Lonzo Ball. Lo è stato anche per Ingram, in realtà. Ragazzini, va bene tutto, ma ai Lakers dobbiamo fare sul serio. Voi non bastate.
L’ex UCLA chiude il suo biennio ai Lakers con una media complessiva di 10 punti, 6.2 rimbalzi e 6.4 assist, giocando in totale 99 partite causa infortuni. Poco più di una stagione. Quel suo tiro sbilenco, con il braccio destro spostato verso l’asse sinistro del corpo e rilascio durante la fase di elevazione, lo porta a poco più del 30% di precisione. Le minacce in spot-up sono ben altre.
Non deve essere stato facile, durante la scorsa estate, capire di non essere più parte del progetto. Capire che quel “voi non bastate” nel frattempo era diventato “vi usiamo per prendere Anthony Davis”. La terra natia, dove Lonzo aveva sognato di trionfare, che si allontanava sulle note del jazz che contraddistingue una città, New Orleans, che sta a Los Angeles come Mazara del Vallo sta a Milano.
E tuttavia, mai ci fu destinazione più vantaggiosa. Adesso è l’ora di giocare a basket. E basta. Adesso è finita l’età dell’innocenza. Non ci sono più scuse, tutti vogliono vedere chi è veramente Lonzo Ball. Lontano dalle luci di Sunset Boulevard, lontano dalle sciocchezze di LaVar, più maturo, più consapevole, padre anche lui di una bellissima bambina.
Dicono che Lonzo sia un ragazzo con la testa sulle spalle. Serio, determinato, calmo. E infatti non si è mai fatto coinvolgere troppo in tutto quel teatrino in cui ha recitato come attore non protagonista. Oggi ai Pelicans ha un’occasione che non può perdere. Ne andrebbe della sua stessa carriera.
Una squadra costruita da Gentry per correre e per creare transizione anche dalla rimessa dal fondo. Un gruppo allergico al gioco a metà campo. Dove Lonzo sarà il generale. Da “portatore sano” di contropiede, spingerà la palla e andrà a nozze con questo sistema di gioco. Sembra fatto apposta per lui. Zion Williamson ha tante (troppe?) cose su cui deve lavorare, ma se lo imbecchi in velocità sulla corsia laterale è un ascensore di 130 kg di mobilità estrema. Ingram ama attaccare il canestro nei primi secondi dell’azione, così come gente alla JJ Redick o Holiday.
Grazie alla ottima combinazione di difesa interna e difesa perimetrale che promettono di avere, vedremo molte ripartenze come queste per i Pelicans quest’anno. Aspettatevi di vedere Lonzo in doppia doppia o quasi.
Saranno divertenti, i NOP. Una riedizione – con molto meno talento – del “Flying Circus” di Jason Kidd ai Nets dei primi anni 2000. Dove la parte di Jason Kidd verrà affidata proprio a Lonzo Ball, pronto a non negare mai a nessuno un alley-oop, pronto a scaricare la palla sotto-canestro ai taglianti, pronto a far viaggiare la sfera senza problemi.
Il personale di NOLA aiuterà molto l’efficacia delle ripartenze del duo Ball-Williamson, soprattutto grazie alle spaziature che diversi giocatori a roster possono garantire. Nell’azione qui sopra, è ormai troppo tardi quando Markkanen indica a Lavine di prendere Zion: l’istinto dell’ex giocatore di Minnesota è, in maniera non del tutto errata, quello di andare a coprire su Jrue Holiday che si sta andando a posizionare in angolo. Un decimo di secondo, tanto basta al duo Zo-Zion per creare un tiro ad altissime percentuali. Di azioni come questa ce ne saranno moltissime nella prossima stagione.
Ah, il tiro. Beh, un miglioramento, da quanto visto in pre-season, c’è stato. Quantomeno nella meccanica. Il braccio destro non è più sbilenco verso sinistra, durante il caricamento. È molto più fluido nel pull-up-jumper, ma anche nel catch-and-shoot. I risultati tardano ancora a venire, siamo solo alla seconda partita della stagione. Troppo presto. Se farà bene, essersi allontanato dalla sua terra madre sarà un bene per lui e per la terra madre stessa. Il talento, quello vero, prima o poi torna sempre alla fonte. In un modo o nell’altro. E la terra madre è sempre felice di aver potuto dare i natali a un giocatore di successo. Anche se si tratta della California.
Poi, magari, anche l’ingombrate padre inizierà a focalizzarsi maggiormente sul più piccolo della cucciolata. Quel LaMelo, che in molti scout pronosticano come #1 scelta assoluta al prossimo Draft. E farebbe bene, visto che il figlio maggiore, LiAngelo, non andrebbe in doppia cifra nemmeno nella serie B spagnola. E che lui, LaVar, Michael Jordan lo potrebbe battere anche dormendo. Si, ma a sparare cazzate. Amen.