I CHICAGO BULLS E LA STAGIONE DELLA VERITÀ
Record 2018/2019: 22-60.
IN: Thaddeus Young (Pacers, FA); Coby White (Draft, #7); Tomas Satoransky (Wizards, Trade); Luke Kornet (Knicks, FA); Daniel Gafford (Draft, #37); Adam Mokoka (FA, 2-Way Contract).
OUT: Robin Lopez; Cameron Payne; Antonio Blakeney; Timothe Luwawu-Cabarrot; Wayne Selden Jr; Walt Lemon Jr.
Roster:
PG: Tomas Satoransky (S), Coby White, Kris Dunn, Ryan Arcidiacono, Shaq Harrison.
SG: Zach LaVine (S), Denzel Valentine.
SF: Otto Porter Jr (S), Chandler Hutchinson.
PF: Lauri Markkanen (S), Thaddeus Young.
C: Wendell Carter JR (S), Daniel Gafford, Luke Kornet, Cristiano Felicio.
Mancavano meno di due minuti alla fine di una Game-1 dei Playoffs 2012 già decisa tra i Sixers e i Bulls. Il ginocchio di Derrick Rose cedette di schianto e con lui ogni chance futura di tornare ad essere una contender. I Chicago Bulls non si sono ancora ripresi da quella sera.
Dopo gli ultimi anni di Thibodeau passati nel limbo tra il primo e il secondo turno di playoffs, il duo dirigenziale composto da Paxson e Forman (per gli amici e i meno amici GarPax) ha deciso di prendere una direzione chiara: scambiare Jimmy Butler e Derrick Rose. Si può tranquillamente affermare che siano state entrambe scelte giuste, specialmente la prima visto il ritorno in termini di giocatori, ma c’è ancora qualche nuvola su GarPax e soprattutto sul rebuilding dei Bulls.
L’anno scorso doveva essere l’anno della consacrazione di Fred Hoiberg, finalmente alla guida di una squadra – sulla carta – congeniale ai suoi dettami tattici. A dimostrazione di come le cose raramente vadano bene a questa franchigia dal 1998 in poi, Hoiberg ha perso il controllo della squadra ed è stato cacciato prima di metà stagione, sostituito dal suo secondo Jim Boylen. Il primo impatto con la squadra non è stato certo una passeggiata di salute. A posteriori, però, lo scontro frontale con il coach era probabilmente quello che serviva ai giocatori per rientrare nei ranghi. Il record è stato impietoso, 22-60, ma non abbastanza per arrivare ad una delle prime scelte. I Bulls sono anche scesi dalla scelta #6 alla scelta #7 per colpa delle palline da ping pong della Lottery.
Tuttavia, i Chicago Bulls hanno motivo di guardare al futuro finalmente con una buona dose di ritrovato ottimismo.
COSA E’ CAMBIATO?
Si può affermare tranquillamente che quella passata sia stata la migliore free agency dal 2010 a questa parte. Coerentemente con lo stato attuale del rebuilding GarPax hanno deciso di aggiungere un solido veterano, Thaddeus Young, un playmaker versatile, Tomas Satoransky, e un lungo tiratore che può tornare utile nelle rotazioni, Luke Kornet.
L’aggiunta di Young è cruciale in una squadra così giovane. Il veterano sarà importante non solo per la sua fama di uomo spogliatoio e il ruolo chioccia per Markkanen e Wendell Carter Jr. già cucito addosso, ma soprattutto per le sue qualità difensive e la provenienza da una squadra con un pace (99 i Bulls, 98 i Pacers) e un sistema difensivo molto simili.
In Satoransky i Bulls troveranno un giocatore solido, in grado di coprire entrambi i ruoli di guardia e persino quello di ala piccola. Ballhandler di 2 metri in grado di tirare col 40% da 3 ce ne sono pochi; in più Sato è sesto fra le guardie con un minutaggio oltre i 27′ per Ast/TO ratio (3.33) e quinto per Ast ratio (35.6). Kornet è l’ultimo tassello della free agency: un centro lunghissimo e capace di tirare con il 35% da 3, che però finora ha mostrato poco altro.
Se già a livello tecnico Young e Sato sono aggiunte convincenti, ancora di più lo sono a livello economico. Young ha firmato un triennale a 41 milioni, con solo 6 milioni garantiti nel 2021/2022; Satoransky un triennale a 30 milioni, con solo 5 milioni garantiti nel 2021/2022. Così i Bulls tengono aperte tutte le porte per la Free Agency del 2022, con tanti All-Star come Harden, Curry e Leonard disponibili.
Dal draft è arrivato Coby White, un playmaker con un primo passo già d’élite e dal buon tiro piazzato. Pecca un po’ nel tiro dal palleggio e nella visione di gioco e, nonostante abbia le mani per passarla bene, tende a non essere lucido a livello di scelte. A livello difensivo, invece, White è “discreto” e con ampi margini di miglioramento. Menzione speciale per Daniel Gafford, che si prospetta come un classico rim-runner, per adesso limitato a qualche minuto qua e là.
A livello di uscite importanti, oltre a quella del tragicomico Cameron Payne, si registra solamente quella di Robin Lopez. Il giocatore si era conquistato un posto nel cuore di tutti i tifosi Bulls durante le ultime, difficili, stagioni. Buona fortuna Robin!
IL NUOVO QUINTETTO
Nonostante Kris Dunn sia ancora aggrappato ad un posto in squadra, è molto probabile che la PG titolare sarà il neoacquisto Satoransky; Coby White, invece, dovrà piano piano conquistarsi il ruolo. Nel ruolo di guardia il titolare e leader tecnico della squadra è Zach LaVine, atteso alla stagione della consacrazione per puntare al primo viaggio all’All Star Game, che sarà proprio a Chicago.
L’ala piccola titolare è Otto Porter. Nel finale di stagione ha lasciato intravedere di valere il contratto firmato quando era ai Wizards, e che si è guadagnato una grande considerazione da parte di Boylen per le sue capacità di glue guy e di ancora difensiva della squadra. Chiudono il quintetto Lauri Markkanen, che deve dimostrare di aver superato i problemini fisici che lo attanagliano e finalmente fare progressi difensivi, e Wendell Carter Jr, che aveva mostrato lampi di classe da giovane Horford prima di infortunarsi ed è anche lui chiamato a migliorarsi soprattutto in attacco.
LA PANCHINA
Capitolo panchina, che potrà essere l’arma in più dei Bulls. Il primo punto di svolta per la second unit deve essere il recupero di Kris Dunn, che per guadagnarsi un contratto buono in estate ha bisogno di tornare sui livelli del suo primo anno a Chicago. Come? Accettando un ruolo in stile Rozier o Schroeder in cui possa avere la palla in mano e fare la differenza contro le riserve avversarie. Dunn ha bisogno della palla per essere efficace, ma non esiste una squadra di buon livello che possa concedergli questo lusso partendo in quintetto. Se sarà abbastanza maturo da accettarlo, la panchina dei Bulls farà un grosso salto di qualità e Kris potrebbe costruirsi una gran bella carriera a Chicago o altrove.
La seconda incognita sono le caviglie di Denzel Valentine. Lui dice che non si è mai sentito meglio e se fosse vero – il parere di Taj Gibson, che ha subito la stessa operazione anni fa, è incoraggiante – sarebbe una manna dal cielo per Chicago; un tiratore di quel livello che sia in grado anche di fare da playmaker secondario è il compagno perfetto sia per Dunn che per Coby White.
Per quanto riguarda Coby White, non solo potrebbe trovarsi a fronteggiare un Kris Dunn a caccia del suo primo contratto dopo quello da rookie, ma dovrà guardarsi le spalle da Shaq Harrison e Ryan Arcidiacono, due fedelissimi di Coach Boylen che si sono ritagliati un posto in NBA grazie a grinta e tenacia difensive e disciplina in attacco. Senza dubbio vedremo molti quintetti piccoli con addirittura tre guardie in campo, per provare ad essere aggressivi in difesa e correre in contropiede ad un ritmo infernale.
Thaddeus Young sarà un pilastro difensivo non solo della panchina ma di tutta la squadra. Giocherà minuti importanti anche con i titolari e mettendo in campo tutta la sua solidità ed esperienza specialmente nei momenti cruciali della stagione, quando i giovani Bulls si troveranno di fronte alle prime difficoltà.
Hutchison è l’ultima tessera del puzzle che deve incastrarsi alla perfezione per trasformare la panchina dei Bulls in un incubo per gli avversari e concedere un po’ di riposo a Otto Porter Jr. È stato da subito ribattezzato Young Pip per la somiglianza nei movimenti con il leggendario #33; oltre alle lunghe leve e alla fluidità con cui sfodera il suo atletismo per ora si è visto poco. Il potenziale per diventare almeno uno specialista difensivo c’è. Se trova la sua dimensione in campo può ripercorrere almeno in parte le parabole di due late bloomers come Pippen e Butler, ma la strada è ancora lunga.
Gafford e Kornet non sembrano poter riservare sorprese ma si riveleranno utilissimi come specialisti. Il primo scenderà in campo se ci sarà bisogno di energia e protezione del ferro, il secondo servirà per stanare dall’area i lunghi più statici con il suo tiro da tre.
Felicio, invece, rischia seriamente di non riuscire nemmeno più a trovare spazio nel garbage time se non riesce a risolvere i problemi di focus mentale sulla partita che lo caratterizzano.
BEST-CASE SCENARIO
I Bulls riescono a sistemare l’attacco farraginoso dell’anno scorso grazie alla stagione da All-Star di LaVine, alla continuità che Markkanen riesce finalmente a mettere in campo e ad una panchina che produce qualcosa di più grazie a Young, Valentine, White e un Kris Dunn ritrovato nel ruolo di leader della Bench Mob 2.0. Satoransky impone il suo credo cestistico “Everybody Eats“, dimostrandosi l’uomo perfetto per armare le bocche da fuoco LaVine, Porter Jr. e Markkanen e rendere finalmente fluido l’attacco dei Bulls. Carter Jr., ormai ambientato in NBA, riesce a liberare tutto il variegato arsenale offensivo che aveva mostrato a Duke al fianco di Bagley, facendo tutte le piccole cose che trasformano un gruppo di ottimi realizzatori in un attacco efficiente e imprevedibile.
Sul fatto che il trio LaVine, Porter Jr., Markkanen produrrà oltre 50 punti a partita ci si può mettere la mano sul fuoco. Rimane da scoprire se la squadra sarà in grado di rendere loro la vita più semplice e se loro riusciranno a sfruttare la prima vera opportunità che hanno di convertire il loro talento nelle tanto agognate W.
Mentre ci sono pochi punti interrogativi sul potenziale offensivo del quintetto Bulls, la chiave per puntare ai playoffs sarà la solidità difensiva. Riuscirà Thad Young ad avere lo stesso impatto sulla squadra che ha avuto ai Pacers? Riusciranno LaVine e Markkanen a limitare al minimo gli errori nelle letture sul lato debole? Satoransky reggerà in uno contro uno le guardie più esplosive? Carter Jr. confermerà quanto di (molto) buono ha mostrato già nel suo anno da rookie? Hutchison sarà un valido cambio di Porter Jr. almeno su un lato del campo? Se la risposta a queste domande sarà un bel sì, allora si vola – finalmente – ai playoffs!
WORST-CASE SCENARIO
Jim Boylen, poco incline al compromesso sulle regole da rispettare in spogliatoio, perde il controllo della squadra prima di metà stagione. LaVine non riesce a fare l’ultimo salto di qualità che lo porti da realizzatore ad All-star affermato. Coby White non riesce a conquistarsi minuti in campo, chiuso da compagni più pronti anche se con meno potenziale. Markkanen viene funestato dai problemi alla schiena non riuscendo a trovare continuità, mentre Carter Jr. continua ad avere problemi di falli (3,5 a partita la scorsa stagione, quinto in NBA) che gli impediscono di avere impatto sulle partite. Otto Porter Jr. regredisce, tornando ad essere il giocatore passivo che non riusciva a trovare tiri a Washington.
Tutti gli interrogativi difensivi di cui sopra hanno come risposta un sonoro no, riducendo i Bulls ad una delle peggiori difese della lega. Dunn non accetta la panchina e GarPax si trovano costretti a regalarlo, Valentine non recupera dagli infortuni alle caviglie e Hutchison non mostra i progressi che ci si aspettano da un giocatore scelto al primo round. In questo scenario drammatico i tre nuovi free agent portano un contributo marginale e i Bulls scivolano ben presto fuori dalla corsa playoffs, ritrovandosi di nuovo e inevitabilmente la scelta numero #7 per il quarto anno consecutivo. Felicio sarà il centro titolare per le ultime partite nella vana speranza di scalare qualche posizione al draft.
Bonus track: il nuovissimo jumbotron dello United Center ha continuamente problemi di funzionamento durante le partite e dovrà infine essere smontato per via del troppo peso che mette a rischio la struttura del tetto. I molti giocatori infortunati si occupano a turno di segnare i punti a mano su una lavagna.
Articolo a cura di Giorgio di Maio e Cosimo Sarti.